Sorgente di futuro
La foto del buco nero? E’ davvero l’“orizzonte degli eventi” che stanno per accadere. Cinquant’anni dopo la luna, la new space economy
Singolare coincidenza. La foto del secolo, la prima di un “buco nero”, l’oggetto più enigmatico dell’Universo osservabile, cade in un anno particolare: a luglio faranno 50 anni dallo sbarco sulla Luna. Quella foto ci dice dove è arrivato oggi l’occhio dell’uomo: cosa è l’esplorazione spaziale oggi. L’immagine che ritrae il trou noir, il buco posizionato al centro della galassia M87 (o Virgo A), a circa 53 milioni di anni luce dalla Terra, ha qualcosa di impressionante, quasi sconcertante. Che non riguarda però, soltanto, l’emozione della conferma visiva dell’esistenza dei buchi: l’oggetto cosmico più supposto (sono almeno 263 anni che se ne ipotizza l’esistenza) e meno osservato. Fu un reverendo inglese, geologo e padre della sismologia moderna, John Mitchell, il primo a supporre che, in qualche luogo dello spazio, fosse rintracciabile un corpo celeste (una stella nera), di tale gravità, che la velocità di fuga da esso potesse impedire perfino alla luce di scappare. Per due secoli e mezzo il trou noir, il buco nero come lo nominò Sir Archibald Wheeler, il più geniale fisico del ’900 dopo Einstein, è stato ricercato, ascoltato (nelle criptiche emissioni radio e X di spazi galattici lontani), misurato (di recente nei fantastici effetti delle onde gravitazionali). Mai osservato. L’alea rimasta allo scetticismo circa l’impalpabile, nascosta, riluttante, ritrosa natura del buco nero, la sua renitenza a mostrarsi è, definitivamente, caduta. La nudità del buco, il profilo ineffabile “dell’orizzonte degli eventi”, finalmente, esibita.
L’Event Horizon Telescope è un’impresa di ingegneria osservativa senza precedenti. Un telescopio virtuale grande come il pianeta
Ma ciò che colpisce della “foto del secolo” è altro. Cos’è in realtà l’Event Horizon Telescope? Direi: un’impresa di ingegneria osservativa senza precedenti. Combinando i dati raccolti da ben otto telescopi, distribuiti su tutto il globo terrestre, l’EHT ha realizzato un telescopio virtuale grande come l’intero pianeta. Per comporre l’immagine di un oggetto cosmico, un buco nero supermassivo, distinto al centro di M87, una galassia ellittica lontana. A sua volta distinta, tra migliaia di altre, nell’Ammasso della Vergine, uno dei più grandi dell’universo “vicino”. Questo fantastico evento esplorativo avviene a 50 anni da quel 20 luglio del 1969 in cui l’Apollo 11 violò il suolo lunare del Mare della Tranquillità. C’è uno strano paradosso che la coincidenza dei due eventi richiama: l’occhio dell’uomo penetra lo spazio profondo, le imperscrutabili distanze delle galassie più lontane e fissa le immagini degli oggetti più ineffabili del deep space ma l’uomo, da 50 anni, come esploratore diretto, è in fondo rimasto confinato entro la coltre rassicurante della atmosfera terrestre.
Sembrerebbe lecito un interrogativo: quello di Neil Armstrong e Buzz Aldrin fu davvero il “grande balzo per l’umanità” che il trionfale allunaggio del ’69 sembrava annunciare? In fondo sulla Luna abbiamo smesso, quasi subito, di andarci. In poco meno di tre anni, tra il 1969 e il 1972, ci hanno messo piede 12 uomini con le 7 missioni Apollo (una sola abortita). Poi, dopo i 6 anni del programma spaziale più spettacolare, di maggior successo e popolarità, lo stop. Nessun’altra missione esplorativa umana ha più raggiunto le distanze del nostro satellite (384.400 km). Le massime altezze a cui ci siamo spinti, in questi 50 anni, sono quelle delle rassicuranti orbite terrestri, quelle in cui (a 400 km sopra le nostre teste) vola la Stazione Spaziale Internazionale. Che 200 uomini e donne, astronauti di oltre 12 paesi, hanno abitato dal 2000. L’esplorazione umana dello spazio, quella oltre la nostra atmosfera, è ferma ormai da 47 anni. Un’eternità. L’allunaggio concluse, con la vittoria americana, la guerra fredda spaziale tra le due superpotenze del Dopoguerra. Soddisfatti e oberati (il Vietnam incombeva) gli americani cancellarono i costosi voli umani extra atmosferici. Mai più ripresi. Ma gli ultimi 40 anni non sono stati affatto anni di regresso e stagnazione della politica dello spazio. Anzi.
La miniera Luna: nella sua crosta materiali pregiati. Ma anche sostanze come il mitico elio-3, il combustibile dell’energia eterna
L’esplorazione umana si è interrotta. In cambio però il panorama della corsa allo spazio ha conosciuto una trasformazione epocale. Che oggi sembra concludersi. Ma per inaugurare, addirittura, la fase di un rinascimento spaziale, quella che un report della Morgan Stanley, definisce la fase della new space economy. Parecchi paradigmi della letteratura economica del decennio della “grande crisi” e della globalizzazione risultano smentiti dalle promesse del rinascimento spaziale. Il dogma antiliberista, in primis. La tesi del fallimento di mercato, l’idea che l’innovazione e le rivoluzioni tecnologiche sono innescate solo dall’intervento pubblico, dallo stimolo keynesiano delle agenzie statali è, clamorosamente, smentita e rovesciata dai caratteri della nuova economia dello spazio. Dove avviene l’esatto contrario: a tassi, tutto sommato, ristretti della spesa pubblica sul pil dei paesi Oecd impegnati (oggi una sessantina) nella corsa allo spazio (circa 50 miliardi di dollari) il fatturato mondiale, a tassi di crescita del 7 per cento annui, ha raggiunto, nel 2017, i 385 miliardi. Con un moltiplicatore sconosciuto negli anni d’oro dei grandi investimenti pubblici keynesiani, trainati dalla spesa militare. Davvero una riscrittura di luoghi comuni in voga sul capitalismo della globalizzazione. E dove il driver di un nuovo sviluppo è decisamente l’impresa privata con i suoi investimenti. E non più la spesa statale in esclusiva.
Ma cos’è lo spazio oggi? E’ vera l’impressione che lo sbarco sulla luna abbia chiuso l’epoca dell’esplorazione? Affatto. Mai come negli ultimi 40 anni si è realizzato un balzo di entità paragonabile nella esplorazione e conoscenza dello spazio profondo. L’umanità dispone di un’infrastruttura di grandi telescopi, a terra e nello spazio (con alla testa il leggendario Hubble), che hanno scandagliato lo spazio profondo e intergalattico in tutte le finestre di emissione della banda elettromagnetica. Ridisegnando la visione dell’universo osservabile. Fino alla straordinaria missione di Kepler, il telescopio che, osservando la regione galattica tra le costellazioni del Cigno e della Lira, ci ha restituito l’esistenza di ben 2.335 esopianeti solo in quella zona del quartiere galattico. Nove sonde esplorative, invece, negli ultimi 30 anni hanno completato la conoscenza del sistema solare esterno (quello oltre l’orbita di Marte), orbitando i grandi pianeti gassosi o ghiacciati e le loro lune, svelando una realtà inedita e sorprendente della complessità di questi oggetti (ai fini, anche degli interrogativi sull’origine e le possibilità della vita oltre la fascia abitabile in cui orbita il nostro pianeta). Missioni spettacolari si sono realizzate su asteroidi e comete che restituiscono i dettagli di oggetti decisivi ai fini della mappatura dei pericoli e delle risorse del sistema solare. Infine Marte. Per decenni, per una strana maledizione, il pianeta rosso sembrava volersi sottrarre alla penetrazione dei suoi misteri. Rendendo un’utopia il sogno della sua conquista. Oggi, invece, con osservatori in orbita (le americane Mars Odyssey e Mars Reconnaisance e l’europea Mars Express) e robot mobili (Curiosity e Opportunity) sul suolo marziano, che ne stanno dettagliando la mappa, il viaggio sul pianeta rosso è entrato, finalmente, nella finestra della fattibilità. Non prima della missione più ravvicinata: il ritorno sulla Luna e la costruzione di una stazione permanente in orbita cislunare (come luogo logistico per la missione su Marte e per i viaggi interplanetari del futuro).
Per decenni è sembrata lecita una domanda: il passo di Neil Armstrong nel 1969 fu davvero un “grande balzo per l’umanità”?
Il settore, ovviamente, decisivo per la ripresa dell’esplorazione è quello del trasporto. Dove sta avvenendo una vera rivoluzione, concettuale e operativa. Il trasporto (lanci, combustibile, razzi, navicelle, moduli ecc.) è il segmento proibitivo (costi della propulsione) per le missioni con grandi carichi e per le prospettive delle esplorazioni umane oltre l’orbita terrestre e oltre la luna. Qui sta diventando protagonista l’impresa privata. Nel settore chiave, monopolio statale per eccellenza data l’esosità dei costi. Nel 2018 solo l’agenzia spaziale cinese (sovvenzionata dallo Stato) ha superato Space X di Elon Musk, per numeri di lanci. Battuti anche i russi che contavano di crearsi (con il loro razzo Proton) un monopolio nel trasporto. La rivoluzione dei costi, realizzata da Musk con i suoi razzi Falcon fa leva sulla innovazione dei razzi recuperabili. Che abbassa drasticamente il costo del lancio. La frontiera del trasporto aperta da Musk sta perciò diventando da luogo (par excellence) del monopolio statale, quello di un’aperta concorrenza tra privati. Il continuo abbassamento dei costi del lancio diventa la chiave competitiva. E Musk ha indicato la strada immediata: aumento dei carichi utili (trasporti verso le stazioni spaziali) e turismo spaziale (per ora subito nelle orbite della bassa atmosfera terrestre).
Un report di Morgan Stanley parla di rinascimento spaziale. Un fatturato di 385 miliardi. Il driver dello sviluppo è l’impresa privata
Il trasporto, ovviamente, non è il solo driver della rivoluzione liberista dello spazio. L’Ocse parla di una “quinta fase dello sviluppo spaziale” (2018/2033) in cui il valore del settore dell’upstream (infrastrutture materiali e produttive, razzi, satelliti, rover ecc), la manifattura dello spazio, sarà superato dal valore del downstream: i servizi e le applicazioni basate su infrastrutture spaziali. Già oggi oltre 1.000 satelliti operativi orbitano la Terra. Ed altri 600 si aggiungeranno. Oltre 50 paesi sono, ormai, entrati nel club degli operatori satellitari. Facendo dello spazio già oggi il comparto dell’economia tra i più globali e competitivi. Le applicazioni satellitari entrano nelle catene del valore di quasi tutti i settori della domanda di servizi: da quelli tradizionali ormai delle telecomunicazioni, della difesa, e dell’osservazione della Terra (ambiente e meteorologia) ai servizi di navigazione e posizionamento, all’agricoltura, al turismo. Servizi e applicazioni significa gestione di big data. Che si rivela come, nell’immediato, il segmento più promettente della new space economy. E con qualche insidia. Pensiamo già oggi alle polemiche tra Cina ed Usa sul 5G. Ma la gamba del downstream dei servizi (ormai in pieno sviluppo) non è la sola del business spaziale. E, forse, in prospettiva nemmeno la più promettente in termini di valore. Il vero futuro della nuova economia dello spazio è epocale: riguarda lo sfruttamento delle materie prime. A partire dal sottosuolo della luna alla cattura di asteroidi Neo (vicini alle orbite terrestri) per l’estrazione di materie prime. La luna, ad esempio, è una vera miniera. E’ il prodotto di una contaminazione originaria con il nostro pianeta. Nella sua crosta ha tutte le materie prime del nostro sottosuolo (silicio, potassio, ossigeno, magnesio, ferro, titanio, calcio, alluminio). Ma anche sostanze per noi quasi esotiche: ad esempio il graal , il mitico elio-3, il combustibile dell’energia eterna, la fusione nucleare, il sole sulla terra. E, sulla luna, ghiacciata nei crateri e nei poli lunari, c’è l’acqua. Ma non c’è solo la luna come miniera di materie prime. Anche lo sfruttamento degli asteroidi è promettente. E costituisce già oggi la frontiera di società e compagnie sorte allo scopo. Le quantità ipotizzabili dello sfruttamento minerario dello spazio cambia del tutto il tradizionale timore dell’esaurimento delle risorse fisiche, fossili, di materie prime, di sostanze rare (esempio quelle essenziali nell’industria elettronica). Bastano questi accenni sulla portata della new space economy per intuire qual è il vero problema politico dell’immediato futuro: quello della regolazione, dell’architettura istituzionale che deve accompagnare la nuova rivoluzione dello spazio. E che non è più un conflitto ristretto a poche potenze. Ma un grande problema di regole globali per l’accesso alle risorse dello spazio. Forse è questo il tema più intricante del futuro per il governo globale del pianeta.
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