Matera e la balena
Che cosa dice di noi un fossile di due milioni di anni chiuso in uno scantinato della capitale della cultura
Estinzione tua, vita mea. Così direbbe, forse, e se potesse parlare, il fossile di balena che due milioni di anni fa nuotava dove oggi c’è Matera – città dei Sassi che ha quasi più segni del mare delle città di mare – e che d’estinzione e cambiamenti climatici è morta. E invece Giuliana, che così è stata chiamata perché il suo scheletro è stato ritrovato, molti anni fa, in quella che oggi si chiama diga di San Giuliano, a pochi chilometri dalla città, non dice niente: nessuno può vederla, o studiarla, sebbene in tanti vorrebbero, perché quel che resta di lei, un imponente fossile marino, è stato ammucchiato e sigillato in casse di legno, trasportato nel museo archeologico Domenico Ridola di Matera, e lì giace, naturalmente non esposto, ma dimenticato come certi scatoloni traslocati e mai riaperti, nell’attesa di un miracolo, cioè della giusta combinazione di denaro e uomini di buona volontà.
Era il 27 dicembre del 2000 quando Gianfranco Leonetti, in una delle sue escursioni paleontologiche che era solito condurre nei pressi della diga, della quale conosceva molto bene la ricchezza di argille fossilifere, notò che sotto alcuni cipressi e pinastri collassati non c’era il solito blocco di arenaria, ma un gigantesco insieme di frammenti di vertebra di cetaceo. Da qualche parte troverete scritto che Giuliana fu ritrovata nel 2006 e non è esatto: quell’anno, dopo una lunga lotta (del Lionetti, e quasi in solitaria) contro burocrazia e moti inerziali di istituzioni competenti, vennero avviate le prime operazioni di recupero e tutela del fossile, e si finì all’impacchettamento che è stato oggetto di interrogazioni parlamentari, documentari (“Giallo ocra – il mistero del fossile di Matera”, realizzato da Renato Sartini), richieste, spinte, proposte di valorizzazione in vista del 2019 (l’anno di Matera capitale europea della cultura). Se ne parliamo oggi è perché la rivista Biology Letters della Royal Society di Londra ha appena pubblicato uno studio dei paleontologi dell’Università di Pisa, che segnala l’importanza di Giuliana come esempio raro, forse unico al mondo, di come il gigantismo delle balene non sia un fenomeno recente, come s’è creduto a lungo, ma risalente addirittura a 15 milioni di anni fa. Dall’ampiezza del cranio di Giuliana, infatti, i ricercatori di Pisa hanno dedotto che la lunghezza del suo corpo potesse quasi certamente superare i 26 metri: si tratterebbe del più grande fossile di balena mai descritto.
Giallo ocra - Il mistero del fossile di Matera - Una coproduzione Renato Sartini - Video Eikon
Giovanni Bianucci, paleontologo del team pisano, già tre anni fa avvisava che le dimensioni dell’Ismaele materano avrebbero potuto fornire informazioni sui cambiamenti climatici e confermare la teoria secondo la quale l’aumento delle dimensioni di alcuni cetacei fu una risposta alle glaciazioni degli ultimi due milioni di anni. L’anno scorso, sul numero 4 della rivista Mathera, Leonetti scriveva: “L’allestimento di uno spazio museale in cui si parli della geomorfologia del territorio potrebbe essere opportuna in vista del 2019, anche per valorizzare il fossile di Giuliana”. Per il Giornale, Giuliana e la sua assurda – “tragicomica” – cattività “potrebbero diventare una grande metafora di una Basilicata messa talmente male da rimpiangere addirittura l’epopea ormai inabissata della balena bianca”. Metafora? Ma no, è un fatto: la capitale europea della cultura non ha un teatro, ha una biblioteca provinciale sull’orlo del baratro, una stazione per littorine e non per treni (l’ha progettata Boeri, avrebbe dovuto essere ultimata il 19 aprile, ma i lavori sono ancora in corso), e un fossile di balena che potrebbe dire molto di chi siamo e come lo siamo diventati, di dove abitiamo e perché, della tragica necessità che governa l’evoluzione della specie, e invece niente, silenzio, e com’è profondo il mare.
Non è una metafora neppure il fatto che Matera sia un deserto travestito, un gigantesco ex parco marino: sono tutti fatti, anche se estromessi dal racconto propinato ai turisti e all’Europa, ai quali s’è preferito dire di civiltà contadina, Carlo Levi, Pasolini, e dolente bellezza. Arriverete a Matera, se non ci siete già stati, e vi diranno quasi certamente che è fatta di tufo. Inesatto: è fatta di calcarenite, nient’altro che sabbia sedimentata in roccia col passare dei secoli, la sabbia del mare (quello della fossa bradanica) in cui Giuliana a un certo punto fu troppo grassa per nuotare, e quindi vivere. Non c’erano uomini, all’epoca, che facevano del male al pianeta al punto da stravolgerne il clima, ma c’era la natura, che è estranea al bene e al male, e segue la sua propria necessità, che non è sempre detto che includa tutte le forme di vita.
Chiamiamola Giuliana.
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