Nel caso Xylella c'è un'altra patologia: è l'intreccio mediatico-giudiziario
Continuano a diffondersi false teorie dalla procura ai giornali
Roma. La Xylella fastidiosa non è solo la causa del disseccamento degli ulivi che dal Salento si sta estendendo al resto della Puglia, ma è anche il sintomo di un’altra grave patologia: l’intreccio mediatico-giudiziario che, non si comprende ancora per quali motivi, continua a inquinare il dibattito pubblico ignorando le evidenze scientifiche e screditando ricercatori e funzionari pubblici. Questa triste storia, che ha esposto per anni al pubblico ludibrio persone innocenti che andavano invece ringraziate, non doveva neppure iniziare. O quantomeno doveva essere chiusa definitivamente dopo la completa e totale archiviazione di tutti gli indagati, che è avvenuta su richiesta della stessa procura di Lecce. E invece no. Nel dispositivo di archiviazione i pm hanno inserito una serie di insinuazioni e considerazioni che, ancora oggi, continuano a essere usate contro gli ex indagati anche grazie alla diffusione di alcuni organi di stampa, uno su tutti il Fatto quotidiano, che sin dall’inizio si sono posizionati acriticamente nel fronte negazionista: negando sia l’utilità del piano di emergenza per arginare la diffusione del batterio sia la pericolosità della Xylella come causa del disseccamento degli ulivi.
Sul Foglio abbiamo già mostrato come molte delle argomentazioni, ancora oggi usate dalla procura e da certi media contro i ricercatori, fossero scientificamente infondate o addirittura false. Ma ci sono altri due argomenti che ancora oggi vengono rilanciati per sostenere chissà quali trame oscure (tralasciamo la teoria sui diserbanti della Monsanto, indiziata perché possiede un’azienda il cui nome è “Alellyx”, ovvero l’anagramma di “Xylella”, perché è roba da Settimana enigmistica). Il primo falso argomento è quello secondo cui i ricercatori sapessero della presenza di Xylella in Puglia già dal 2005 anziché dal 2013, e che lo abbiano tenuto nascosto alle autorità. Questa ipotesi si fonda sulle dichiarazioni di un testimone che sostiene di essere stato informato della presenza di Xylella da un ispettore fitosanitario della regione indagato (e archiviato). Ci sono diversi dati oggettivo che smontano questa teoria: il primo è che i primer (i reagenti diagnostici) per identificare il batterio sono stati acquistati solo nel 2013 e quindi era tecnicamente impossibile identificare la Xylella nel 2005; il secondo, come hanno scritto sul Foglio del 29 maggio Enrico Bucci e Luigi Mariani, è un lavoro scientifico del prof. Rodrigo Almeida dell’Università di Berkeley – fra i massimi esperti mondiali in Xylella – che individua l’anno più probabile di nascita del ceppo di Xylella isolato in Salento: nell’ambito di un intervallo di confidenza, è il 2008 e l’origine è certamente il Costa Rica (quindi è, diciamo, altamente improbabile che nel 2005 fosse in Puglia).
Un altro falso argomento utilizzato a sproposito è una mail tra i due ricercatori del Cnr che per primi hanno individuato il batterio in Salento, Donato Boscia e Maria Saponari: “Se usiamo la Coratina (una varietà di ulivo) la infettiamo con la (Xylella, ndr) fastidiosa, la osserviamo asintomatica per uno, due, tre... quindici anni. Poi quando (...) tu avrai la mia età e pubblicherai che (Xylella, ndr) non è patogenica (ma questo lo sappiamo già): embé?”. Questa mail sarebbe, secondo i detrattori, la prova che secondo gli stessi ricercatori la Xylella non sia patogenica, non causi cioè il disseccamento degli ulivi. Peccato che la mail non si chiuda in questo modo: prosegue, ma la procura, inspiegabilmente (ma forse neppure tanto), mette un “omissis”. Cosa c’è scritto dopo? “L’originalità di questa prova deve invece stare nel dimostrare che l’infezione della fastidiosa favorisce ed accelera l’invasione dei fungacci, ma per questi ultimi … non ha visto proprio un bel nulla sulla coratina, la prova va fatta su ogliarola/cellina in primis (due varietà di ulivo, ndr), in parallelo, se c’è possibilità, va fatta su altre cultivar, coratina inclusa, per la ricerca di eventuali resistenze”. In sostanza, l’omissis ribalta il significato del brandello di mail che lo precede: i ricercatori non affermano che Xylella non sia patogenica, ma che bisogna effettuare tutte le verifiche sperimentali per appurare se ci fossero alcune varietà resistenti. Questi esperimenti sono stati poi effettuati e pubblicati, confermando la patogenicità del batterio. La cosa più surreale in questa vicenda è che alle stesse conclusioni degli indagati sono giunti i due periti scelti dall’accusa, solo che inspiegabilmente (ma forse neppure tanto) nell’archiviazione la loro consulenza tecnica – l’unica richiesta dalla procura – non compare più: omessa. Ai dati e agli articoli scientifici, insomma, questo intreccio mediatico–giudiziario preferisce mozzoni di mail.
Cattivi scienziati