Da Verne a Musk. I visionari della Space Economy
La corsa allo spazio è stata al centro dell'edizione del Festival Internazionale di Cultura della Comunità Ebraica di Roma che chiude stasera
“Nel 1865, la corsa allo spazio inizia nella fantasia grazie all’iniziativa privata. In ‘Dalla Terra alla Luna’ di Jules Verne sono i multimiliardari soci del Gun Club di Baltimora che un po’ per gioco, un po’ per sfida e un po’ per vanagloria decidono l’avventura di lanciare un proiettile sulla Luna. Un secolo dopo, la vera corsa allo spazio fu fatta dalle agenzie spaziali di stato, soprattutto in quel quadro della guerra fredda in cui, a parte le ragioni di prestigio e propaganda, i satelliti consentivano di portare bombe atomiche nel cuore del territorio del nemico. Ma passato un altro mezzo secolo, con i signori Jeff Bezos, Richard Branson ed Elon Musk siamo tornati alla corsa allo spazio per iniziativa dei privati. E stavolta nella realtà”. Tra i curatori di “Ebraica”, il Festival Internazionale di Cultura della Comunità Ebraica di Roma giunto alla sua dodicesima edizione, Marco Panella spiega così al Foglio la “Space Economy”, cui il Festival ha deciso di dedicare un evento clou: nel corso di una edizione che tra i cinquant’anni dello sbarco sulla Luna ed i 20 anni dalla morte di Stanley Kubrick è tutta dedicata allo Spazio.
“Space, The Final frontier” è il titolo del festival che si conclude stasera. E “Space. The Visionary Economy” è l’incontro che Panella ha moderato ieri al Palazzo della Cultura. Come ci ricorda, il giro di affari della Space Economy è di 350 miliardi a livello mondiale; 1,6 miliardi in Italia. Una cifra a un tempo abbastanza considerevole da far capire il business che c’è sotto, ma al tempo stesso ancora abbastanza piccola da lasciare un enorme spazio per crescere. La tradizione e le potenzialità le abbiamo, se si pensa che l’Italia il suo primo satellite lo lanciò nel 1964: appena sette anni dopo lo Sputnik. E lo scorso marzo è stato lanciato il satellite Prisma: una missione completamente italiana, con un lanciatore italiano, che dalla sua orbita a quota di 620 chilometri è in grado di osservare la Terra con lo strumento iperspettrale operativo più potente al mondo, Un aggeggio in grado di acquisire 240 bande spettrali e di riconoscere, oltre alle forme degli oggetti, la firma degli elementi chimici presenti in essi.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, solo il 30 per cento di questo fatturato della Space Economy mondiale proviene dalla manifattura. Il 70 per cento è invece dai servizi. Volano di crescita economica a parte, la Space Economy rappresenta una straordinaria ricaduta nella vita di tutti i giorni: a partire dai tessuti, materiali e attività che oggi usiamo tutti dopo che sono stati sperimentati nello Spazio. Ma, ci ricorda Panella, “l’osservazione della Terra dallo spazio è oggi essenziale per la nuova agricoltura di precisione; è essenziale per la pesca; è essenziale per il monitoraggio del clima e dell’ambiente; è essenziale per il monitoraggio delle infrastrutture. Un satellite oggi è in grado di raccogliere dati e di dirti in tempo reale se c’è lo spostamento di un cavalcavia, di un ponte o del tetto di un edificio, in modo da fare manutenzione preventiva in tempo reale”.
Per illustrare questa straordinaria filiera, l’evento di ieri era appunto dedicato alla “Visionary Economy”. “Per guardare allo spazio bisogna essere un po’ visionari”, chiosa Panella. “C’è chi questo sogno lo insegue per una vita facendo ricerca, c’è chi lo insegue studiando modelli economici, e c’è chi crea tecnologia e business”. Tra gli ospiti dell’incontro anche il presidente della Fondazione Amaldi, Roberto Battiston, e l’astrofisica Patrizia Caraveo. Ma anche il ricercatore del Cnr ed esperto di detriti spaziali, Luciano Anselmo. Solo il progetto di Musk per dare collegamento internet a tutto il mondo implica la messa in orbita di 12.000 mini-satelliti, e i satelliti come tutte le macchine hanno un ciclo vitale, dopo di che diventano rifiuti da trattare. Astronomi e astrofili già iniziano a lamentarsi per il fatto che questi oggetti sono ormai divenuti talmente tanti da dare fastidio a chi cerca di osservare lo spazio dalla Terra.
Remy Cohen è invece un economista che si occupa di finanza di grandi infrastrutture, ma che ora sta studiando direttamente il modello di redditività per fare economia dello spazio. Insieme all’ad di Telespazio Luigi Pasquale, l’imprenditoria è stata rappresentata da Mattia Barbarossa: un caso straordinario di eccellenza italiana. Si tratta infatti di un ragazzo premiato dall’Esa, e con un ufficio nell’Università dell’Alabama, che a febbraio non appena compiuta la maggiore età ha costituito una startup di nome Sidereus Space Dynamics. Obiettivo: rendere operativo entro due anni una sorta di bus spaziale alimentato con energia elettrico-solare allo scopo di mettere in orbita più mini-satelliti tutti assieme, in modo da abbattere i costi.
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