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No alla deriva antiscientifica delle università italiane

Giovanni Capranico*

A Bologna rettore e il Senato accademico autorizzano la costituzione di un’associazione per la gestione di un progetto sull’agricoltura biodinamica. Sbagliato: l'accademia deve restare un “baluardo istituzionale” del rigore scientifico

La deriva antiscientifica delle università italiane è stata sottolineata da Enrico Bucci e Gilberto Corbellini sulla Stampa del 6 novembre dopo l’ultimo episodio avvenuto all’Università di Bologna, dove il rettore e il Senato accademico hanno autorizzato la costituzione di un’associazione per la gestione di un progetto sull’agricoltura biodinamica, finanziato dalla Regione Umbria. Condivido le analisi di Bucci e Corbellini e le loro forti perplessità circa il supporto dato a teorie non basate su dati scientifici. Inoltre, ritengo che questo tipo di decisioni antiscientifiche da parte dell’accademia derivino da una sottovalutazione della profonda trasformazione dei rapporti tra scienza e società avvenuti rapidamente negli ultimi decenni e di quale sia il corretto ruolo delle Università. Questi atti accademici vanno dunque approfonditi per apprezzarne meglio il significato senza peraltro diminuirne la gravità.

Le nostre abitudini e routine quotidiane ormai cambiano moltissimo, quasi ogni giorno, poiché le scoperte scientifiche e i progressi tecnologici sono molto rapidi ed impattano subito sulle nostre vite. Mai prima d’ora l’umanità aveva fatto esperienza di cambiamenti così repentini, frequenti e profondi.

 

Uno dei cambiamenti più profondi a cui abbiamo assistito degli negli ultimi decenni (i primi 50 anni di Internet!) è l’estrema facilità e rapidità nello scambio di informazioni. Anche nella comunità scientifica le comunicazioni sono molto rapide e queste passano non solo attraverso i convegni e le pubblicazioni su riviste specializzate attraverso il sistema peer-review, ma anche attraverso l’uso di social media (Twitter), l’utilizzo di canali diretti di scambio (email, videoconferenze, siti web, etc), la disponibilità di un numero enorme e diversificato di informazioni (big data) depositate in banche-dati specializzate e liberamente accessibili a tutti, e la pubblicazione dei risultati scientifici su riviste che rendono subito pubbliche le nuove conoscenze (open access publication).

 

Anche lo scambio di informazioni tra scienziati e società è profondamente cambiato. Innanzitutto in termini quantitativi ma anche qualitativi. Attualmente, una nuova scoperta scientifica, anche se ancora non verificata in modo indipendente, è subito nota a tutti. Il pubblico generale ha modo di intervenire direttamente nel dibattito scientifico, criticando le ricerche o addirittura approvandole o meno, e ovviamente anche orientando le politiche di ricerca delle istituzioni politiche. E’ molto aumentato (e io penso in senso positivo) l’influenza delle associazioni di pazienti e famigliari che raccolgono soldi dalla popolazione generale e li distribuiscono agli scienziati sulla base di progetti di ricerca sottoposti alla valutazione tramite il sistema di peer-review. Inoltre, ci sono casi in cui cittadini, non-scienziati, hanno partecipato direttamente alle ricerche di scienziati, a volte arrivando a produrre risultati scientifici di ottima qualità (in quanto a rigore scientifico) pubblicati su riviste scientifiche molto prestigiose.

 

Quindi, l’interscambio tra scienza e società è profondamente cambiato e la comunità scientifica è molto più permeabile di un tempo alla società, ai cittadini e internamente (open science). Questo è sicuramente un miglioramento rispetto al passato e dovrebbe permettere, in linea teorica, una maggiore comprensione del metodo e rigore scientifici da parte di tutti. In particolare, partecipare al lavoro degli scienziati dovrebbe essere un forte fattore di promozione della scienza.

 

C’è però un problema. Il cambiamento profondo di cui abbiamo parlato ha dato spazio anche a ciarlatani (e/o persone dis-informate) che utilizzano un vocabolario pseudo-scientifico per comunicare risultati falsi o non basati su metodo e rigore scientifici. Finora, il lavoro degli scienziati è sempre stato sottoposto ad una serie di vincoli istituzionali scientifici che, controllando i risultati sperimentali o teorici, assicurano che dalla creatività e dal pensiero innovativo si producano risultati e teorie razionali e, eventualmente, prodotti tecnologici. Questi vincoli istituzionali scientifici agiscono in vari momenti e in varie aspetti della vita professionale di uno scienziato. Alcuni di questi sono: il rigore nella formazione dei giovani ricercatori, il sistema della peer-review nella valutazione dei progetti prima e delle pubblicazioni poi, la necessità di ripetere più volte le ricerche in laboratori diversi sparsi nel mondo, l’assunzione della “responsabilità della scelta” nel reclutamento degli scienziati da parte di enti e accademie, il confronto critico con altri scienziati duranti i convegni, la partecipazione attiva alle società scientifiche e, non ultimo, la pratica quotidiana di una deontologia professionale ancorata ad un alto livello di rigore scientifico del proprio lavoro. Con la grande trasformazione della scienza oggi, il problema sta dunque nell’assicurare ancora una rete di vincoli istituzionali scientifici in grado di mantenere un alto livello qualitativo del prodotto scientifico.

 

A mio parere, le università potrebbero e dovrebbero continuare ad avere ancora un importante ruolo come presidio del rigore e metodo scientifico. Il metodo scientifico va innanzitutto trasmesso ai propri studenti, ma anche ai cittadini. In più, il rigore e metodo scientifici dovrebbero essere il punto di riferimento inderogabile nell’assunzione della responsabilità di scelta accademica in ogni materia. Se ciò non accadrà, come l’articolo di Bucci e Corbellini sembra paventare, le università andranno fuori dal circuito della scienza. Ed è facile prevedere che ciò sarà un danno prima di tutto per i cittadini. L’importanza di avere ancora l’accademia (pubblica e privata) come un solido baluardo del metodo scientifico è evidente quando si riflette sul fatto che le ricerche scientifiche sono ormai condotte non solo nelle università ed enti di ricerca, ma anche in altri contesti, quali industrie pubbliche e private, associazioni private, amministrazioni pubbliche di difesa, energia, ambiente etc, e anche da semplici cittadini (DIY Science, BioHacker). Se non si sviluppano misure condivise di etica professionale da una parte, e non si presidiano i fondamenti del rigore e metodi scientifici dall’altra, si corre il rischio di arrestare il progresso scientifico o di deviarlo a finalità particolari e non generali.

 

*Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Bologna

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