La pericolosità di una magistratura in lotta contro l'evidenza scientifica

Luciano Capone

Non solo i telefonini cancerogeni. Spesso procure e tribunali decidono di ignorare le evidenze scientifiche e di indagare o giudicare sulla base del libero convincimento del magistrato o del giudice

C’è qualcosa che non va nella giustizia italiana. E non riguarda solo i tempi dei processi, ora destinati ancor più a dilatarsi con l’abolizione della prescrizione, ma anche i modi in cui vengono prese le decisioni. Il problema è molto grave per tutto ciò che riguarda le questioni scientifiche, non tanto perché gli altri errori giudiziari siano meno rilevanti (anzi), ma proprio perché le conoscenze a cui è giunta la comunità scientifica dovrebbero consentire di non commettere errori. E invece in Italia dal caso Stamina al caso Di Bella, dagli Ogm alla Xylella, passando per il terremoto dell’Aquila e i vaccini indicati come causa dell’autismo, procure e tribunali decidono di fare da sé. Di ignorare le evidenze scientifiche e di indagare o giudicare sulla base del libero convincimento del magistrato, del giudice o di un perito che spesso non è proprio ferrato in materia eppure ritiene di poter sovvertire i convincimenti della comunità scientifica o di poter dimostrare ciò che gli scienziati non hanno ancora dimostrato. L’ultimo capitolo che arricchisce questa incivile tradizione è una sentenza della Corte d’appello di Torino che, confermando quanto stabilito dal Tribunale di Ivrea in primo grado, ha stabilito che i telefoni cellulari causano il tumore.

 

Anche se questo nesso di causalità non è stato dimostrato, anche se la gran parte della ricerca scientifica è convinta del contrario. Anche se le poche ricerche che presumono questo nesso non sono sperimentali ma osservazionali. Non c’è alcuna dimostrazione di cancerogenicità dei telefonini secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), tutt’al più un sospetto basato su “limitata evidenza nell’uomo, limitata evidenza negli animali e debole supporto fornito dagli studi sui meccanismi”, come scrive l’Istituto superiore di sanità. Che evidentemente ha torto secondo i giudici di Torino, insieme allo Iarc e a tutta la comunità scientifica. Il motivo è, secondo i giudici, che gli scienziati che escludono un nesso causale tra cancro e utilizzo del telefonino sono in “conflitto d’interessi” perché legati alle industrie dell’elettronica. Mentre i consulenti tecnici intervenuti nel processo hanno “accertato la sussistenza del nesso causale”. Evidentemente per questi consulenti è più facile dimostrare qualcosa in un’aula di tribunale e su una sentenza rispetto a un laboratorio universitario o una rivista scientifica, che evidentemente sono controllate dalla lobby dei telefonini così come la letteratura scientifica sui vaccini è controllata da Big Pharma e così via.

 

Ma in Italia stabilire la verità scientifica per sentenza non basta. Perché da noi i tribunali vanno oltre e stabiliscono anche la politica sanitaria e informativa. Proprio su questo tema, infatti, il Tar del Lazio su ricorso di un’associazione che si occupa di “elettrosmog” con una sentenza del gennaio 2019 ha obbligato il ministero della Salute, il ministero dell’Ambiente e il ministero dell’Istruzione ad “adottare una campagna informativa avente ad oggetto l’individuazione delle corrette modalità d’uso degli apparecchi di telefonia mobile (telefoni cellulari e cordless) e l’informazione dei rischi per la salute e per l’ambiente connessi ad un uso improprio di tali apparecchi”. Non esiste autonomia della comunità scientifica per dimostrare nessi di causalità e non esiste neppure autonomia della politica nella comunicazione istituzionale. Sopra c’è la magistratura, autonoma e indipendente da tutto, anche dall’evidenza scientifica.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali