Glifosato e pregiudizi: quando la scienza è davvero indipendente?
Continuano le accuse mediatiche all’erbicida, ma si dimenticano sempre le assoluzioni delle più importanti istituzioni globali
L’intrico di notizie sull’erbicida più famoso al mondo sono degne di un giallo. Illazioni, entusiasmi, complotti ed encomi si alternano in un gioco di specchi dove chiunque è destinato a perdersi. Le connivenze tra scienziati in combutta con le multinazionali per assolvere il diserbante fanno il paio con quelle di un “cristallino” arbitro che al contempo giocava sia nel gruppo Iarc che classificò glifosato come probabile cancerogeno, sia come consulente degli studi legali che stavano preparando la class action contro Monsanto. Fa loro onore che Stefano Bocchi e Caterina la Porta (il 6 febbraio su Repubblica) rivendichino capacità della scienza di essere arbitra tra contrapposti interessi.
Per farlo mettono in fila tre autorevoli fonti: un articolo di un quotidiano tedesco e quelli di due riviste scientifiche internazionali. Va a loro onore anche il pesare la forza delle affermazioni scientifiche sulla base del valore delle due riviste: Sustainability e Mutation Research. Della seconda ci indicano il valore numerico del suo prestigio: 6.081. Ai più, poco dirà tale numero, come potrebbe sembrare basso quello di Sustainability (2.075), ma l’autorevolezza dei due autori certifica che le obiezioni che entrambe muovono al diserbante siano degne di attenzione. Altrettanto onorevole è la richiesta di selezionare scienziati indipendenti per ottenere valutazioni affidabili. Tuttavia si deve meglio precisare chi sia uno scienziato indipendente. Trattasi solo di colui che attacca i prodotti delle multinazionali? Certamente no. E la vicenda del bugiardo Wakefield, con le sue false correlazioni vaccini-autismo elaborate più per avvantaggiare l’azienda che produceva sedicenti alternative che per danneggiare Big Pharma, è li a ricordarcelo. Casi simili sono quelli di Vannoni con l’inganno Stamina, o Di Bella con le pseudo-cure oncologiche. Non basta quindi aggredire una ricca azienda per dirsi “indipendenti”. Uno scienziato indipendente lo deve essere in primo luogo da interessi politici, ideologici, economici e di carriera. Né il suo operato deve essere influenzato dalle ambizioni di vendita dei quotidiani. In Italia e in Europa, infatti, è straordinariamente più comodo opporsi a glifosato che leggere in maniera neutra i dati. Per chi avversi l’erbicida, infatti, le pressioni anti-glifosato di intere classi politiche in molti paesi (Francia, Italia e Austria in testa) spalancano una liscia autostrada che al contrario diviene una rischiosa arrampicata per chi, pur senza glorificarlo, continui a ricordare come le evidenze scientifiche disponibili lo confermino il miglior presidio attualmente utilizzabile contro le erbe infestanti: poco tossico, economico e perfino democratico, visto che dal 2001 è esente da brevetti (costa 6-7 volte meno dei suoi competitori). Di composti sicuri al 100% non ne esistono, né in natura né in agricoltura (nemmeno biologica). Tutti hanno qualche effetto indesiderato su un qualche organismo: basti pensare ai gas serra emessi del “pirodiserbo”, l’alternativa al glifosato: macchine sputafuoco alimentate a Gpl che inceneriscono “biologicamente” le erbe indesiderate.
Peccato quindi che nell’articolo di Mutation Research si ipotizzino le influenze di glifosato sui linfomi non-Hodgkin, in palese contrapposizione con quanto riportato sul Journal of National Cancer Institute (valore 12.589) che Bocchi e La Porta non trovano lo spazio per citare. Parimenti, mancano le assoluzioni di glifosato prodotte da tutte le agenzie alimentari, ambientali e sanitarie del mondo, a partire dall’Epa americana e dall’Organizzazione mondiale della Sanità che, insieme alla Fao, ha rassicurato sulla non cancerogenicità di glifosato. Infine, gli autori sembrano confondere i concetti di “presenza ambientale” e di “rischio sanitario”, trasferendo quasi l’idea che le tracce di glifosato possano di per sé causare danni solo per il fatto di essere quasi ubiquitarie, indipendentemente dalle dosi misurate. Ecco, uno scienziato davvero indipendente dovrebbe citare tutte queste altre fonti, che magari non lisciano il pelo al pubblico e forse scontentano i politici di tutti gli schieramenti, ma che di certo dimostrano cosa sia davvero la terzietà della scienza da ogni forma di populismo.
Roberto Defez e Donatello Sandroni sono membri del gruppo SeTA
Cattivi scienziati