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Il coronavirus ci ricorda perché sarebbe bene insegnare statistica e logica fin dalle elementari

Antonio Pascale

L'epidemia di Sars-CoV-2 è un esempio della difficoltà che il nostro cervello deve affrontare quando si trova a maneggiare cose complesse

Sono quasi sicuro che siete confusi, e probabilmente non ci avete capito niente, e io più di voi. A meno che non date retta alle teorie del complotto, e quindi sostenete che il virus (nome tecnico, per ora, Sars-CoV-2) sia stato creato in laboratorio per sconfiggere il problema del sovrappopolamento, cioè siamo troppi (che poi mica facile utilizzare i virus per questo scopo), in questo caso la vostra visione è semplificata e avete già le idee chiare. Ma se non rientrate in questa, pur singolare, casistica, allora siete come me, confusi o c’avete capito poco. Ma non è colpa nostra, forse nemmeno dei media, il problema è che siamo fatti male. 

   

Voglio dire, a parte le sacrosante e giuste preoccupazioni di salute che piano piano impareremo a gestire al meglio (non è mica la prima pandemia che ci scuote), il coronavirus è un esempio della difficoltà che il nostro cervello deve affrontare quando si trova a maneggiare cose complesse. Le cose complesse vanno smontate per essere comprese bene e quindi o possiedi strumenti per lo smontaggio e la successiva analisi dei pezzi, oppure è un casino e nel casino vince solo chi fa più confusione, perché pure quello, a suo modo, è uno che ha le idee chiare. Dunque devo preoccuparmi o no? Il rischio è alto o basso, cioè, se io ora esco e vado in un bar e c’è un cinese, mi ammalo oppure no? Se devo ricevere persone da Codogno che faccio? Anzi, visto che mi trovo per assonanza come mi regolo con quelli di Cologno Monzese? E Lodi? Ecco per rispondere ci vuole la statistica.

 

Diciamo la verità, voi come me, ora come ora, oggi come oggi, stamattina o stasera, quando avete un po’ di tempo, veramente vi mettete a studiare la differenza fra tasso di letalità e tasso di mortalità? Perché sono strumenti importanti per rispondere alle suddette. Ad esempio, dicesi tasso di letalità la percentuale calcolata sul numero di persone morte per una determinata malattia diviso per il numero totale di persone che si sono ammalate. Ora a parte che è un calcolo semplice solo in teoria, perché appunto è difficile per noi comuni umanisti sia capire il numero degli infetti sia capire se le cause di morte sono dovute solo e proprio al virus, e non ad altre malattie che il virus ha aggravato. Ma va bene, diciamo che al momento, fatte le analisi, i conti e le proporzioni, a oggi, per quello che sappiamo, il tasso di letalità potrebbe in teoria essere simile o più basso a quello dell’influenza.

 

Se uno maneggia strumenti del genere e sa fare comparazioni, abbassa la dose di panico, e magari è più accorto sia nella comunicazione sia nella gestione (medica e non solo) di pandemie, ma noi non li maneggiamo, tantomeno io, e credo da pessimista che non ci sia niente da fare per arginare questa sensazione di paura, andrà così.

 

Certo ci sarebbe la prevenzione, per esempio insegnare statistica e logica fin dalla scuola elementare (i bambini sono sorprendenti) di modo che impariamo l’arte e la mettiamo da parte per affrontare meglio le pandemie future. Ma sono pessimista, i giovani sono pochi e aumenta l’età della popolazione e non so voi, ma io stasera, per via della mia veneranda età non mi metto a studiare statistica per rispondere alle suddette domande con raziocino. Penso che mi chiuderò in casa.

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