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Big data per combattere il coronavirus

Maria C. Cipolla

Così le tecnologie digitali possono aiutarci a gestire in maniera più razionale questa emergenza e delineare le scelte da fare dopo. Parla il matematico Alfio Quarteroni

“In televisione continuano a chiedere quando sarà il picco del contagio ai virologi, ma non può saperlo chi studia come vengono intaccati polmoni o che farmaci usare nella lotta al coronavirus: è come se dopo una guerra si chiedesse a un ingegnere costruttore di ponti come ricostruire il Paese invece che a politici o a economisti, la domanda nel caso del virus va rivolta a epidemiologi e matematici, cioè a chi lavora in un'ottica di sistema”. Il matematico Alfio Quarteroni è uno dei più acuti cervelli italiani, membro dell'Accademia dei Lincei e dell'Accademia e europea delle scienze, professore di analisi numerica al Politiecnico di Milano e di modellistica e calcolo scientifico alla scuola Politecnica di Losanna e in questi giorni confusi il suo è il richiamo alla ragione di chi è abituato alla complessità, di chi pensa all'era delle epidemie assieme a quella degli algoritmi. “In questo momento”, spiega dopo aver concluso la lezione online ormai quotidiana, “serve anche un ragionamento più sistemico con la messa in campo di tecnologie digitali per gestire in maniera più razionale questa emergenza e per delineare le scelte da fare dopo, nel momento in cui dall'emergenza usciremo, ma dovremo, come abbiamo ormai capito, convivere ancora con il rischio del contagio”.

 

Da parte sua Quarteroni si è fatto promotore di una petizione su change.org per invitare gli italiani a donare spontaneamente i propri dati per lottare contro il coronavirus e ha firmato anche due progetti che partecipano al bando del ministero dell'Innovazione per tracciare i contagi dell'epidemia.

 

“I dati sono la nostra risorsa fondamentale”, dice sostenendo la richiesta di raccolta e trasparenza che era già stata lanciata dal Foglio, “e particolarmente rilevanti sono quelli relativi alla fase emergenziale: ci permettono di capire il decorso tipico dalla malattia, la sua manifestazione e l'evoluzione successiva, ma anche come si è propagata, qual è il fronte di avanzamento del contagio”. Grazie agli studi su Wuhan e l'Hubei ci sono già modelli matematici basati sulle caratteristiche del virus Sars-COV2 che dovrebbero essere integrati con le diverse variabili del contesto italiano: quelle demografiche, come età e malattie della popolazione, e la struttura delle reti di comunicazione. “Sappiamo per certo che prima della scoperta del paziente uno, il contagio era già largamente diffuso nel lodigiano ma non abbiamo integrato i dati sulla malattia con quelli sui flussi di spostamento che sono disponibili presso gli operatori telefonici”.

  

Questa analisi combinata avrebbe aiutato a definire misure di contenimento localizzate quando ancora la dimensione era controllabile. Ma studi simili servirebbero anche ad affrontare il post epidemia. “Ipotizziamo che tra un mese volessimo far riprendere a lavorare le persone che hanno, che so, fino a 55 anni e invece isolare quelle ultra 65enni. Sarebbero indicazioni troppo generiche e indifferenziate, correremmo il rischio di rimettere nel contesto sociale anche quei giovani che sono ancora contagiosi. Serve invece, credo, un controllo più capillare, in grado di governare in modo più intelligente i flussi di persone: dovremmo cioè trattare in maniera differente le persone sane da quelle che essendo guarite necessitano ancora di misure di contenimento perché ancora passibili di contagiare altre persone. La velocissima capacità propagativa di questo virus è elemento di altissima pericolosità. 

 

Ma per elaborare questi modelli abbiamo bisogno di una conoscenza fine del dato, capillare”, e ad oggi aggiunge “non abbiamo certezza su quanti siano davvero i contagiati, sappiamo che i numeri della protezione civile sono fortemente sottostimati”. Per questo con il pro-rettore del Politecnico Giulio Noci e Ottavio Crivaro, amministratore delegato di Moxoff, spin off universitario del gruppo Zucchetti che sviluppa modelli matematici che simulano fenomeni complessi, ha promosso la petizione #donaituoidati. Ci tiene alla parola donazione, all'idea che sia una scelta informata individuale e volontaria. “Non sottovalutiamo la questione della privacy, ma siamo in una situazione di assoluta emergenza, non c'è in gioco solo una questione di etica, ma di vera sopravvivenza. C'è chi invoca la questione di principio, ma nel frattempo forniamo quotidianamente, inconsapevolmente e con leggerezza, i nostri dati ad aziende usando app di ogni genere e accettandone le condizioni in modo disinvolto. Il discorso ideale va messo a confronto con il reale e nemmeno la normativa più stretta come il Gdpr ci ha messo al riparo dalla realtà”. Il nodo è complesso e le questioni aperte, in primis chi li andrebbe a gestire e come. Quello che è certo è che servono due tipi di dati, quelli sugli spostamenti, già tracciati dai nostri cellulari che utilizzano la geolocalizzazione, e quelli biometrici.

 

Al bando del ministero (in scadenza il 26 marzo) si spera saranno in tanti a partecipare. Moxoff e il Gruppo Zucchetti stanno mettendo a punto il sistema Zcare per fare in modo che i pazienti dimessi dopo il contagio da coronavirus possano comunicare attraverso una app se hanno febbre o tosse o trasmettere informazioni come la frequenza cardiaca o la saturazione di ossigeno nel sangue all'ospedale della città: “una donazione a una struttura che ne garantisca un uso consapevole e ad esclusivo beneficio nostro e della collettività”. Un sistema del genere, secondo il professore, permetterebbe una diagnosi a distanza e, stabilendo il reale stato di necessità delle persone, eviterebbe ospedalizzazioni inutili e contagi pericolosi. Un secondo progetto invece nasce dalla collaborazione del Politecnico con l'Università di Firenze e La Sapienza di Roma e ha come obiettivo il controllo dei focolai, la gestione delle risorse sanitarie e il traffico di merci e persone. “L'idea è quella di organizzare la logistica, l’effettuazione dei tamponi, il personale di controllo e i posti di terapie intensiva, sulla base delle previsioni a breve termine della diffusione del contagio, combinando i metodi matematici di ottimizzazione e quelli statistici, la pianificazione e l'intelligenza artificiale”.

 

Con una più chiara mappatura, molte attività potrebbero ripartire, per esempio controllando flussi di fornitori o di clienti. Quarteroni suggerisce l'utilizzo di software che vengono usati già da grandi aziende che integrano tanti set di dati, dalla qualifica del dipendente alle ferie, per gestire in maniera ottimale il personale e le diverse mansioni. In questo modo anche il business di piccole imprese, dalle librerie al piccolo commercio, potrebbe ripartire organizzando le prenotazioni dei clienti, esattamente come oggi assistiamo all'uso delle app che stimano le file ai supermercati. “Questi tipi di problemi”, chiosa, “potrebbero essere risolti in maniera spontanea dallo spirito imprenditoriale di start up capaci di mettere a punto risposte specifiche”. Ci sono però anche domande a cui rischia di non rispondere nessuno. In alcuni Paesi le scuole sono rimaste aperte ai figli degli operatori sanitari e si potrebbe pensare a mettere a disposizione aule con il computer ai ragazzi che vivono in famiglie “disconnesse” e che rischiano di rimanere indietro. “Anche qui i modelli ci sono, in questo caso dovrebbe essere il pubblico o servizi non profit a farsi carico delle nuove fragilità”, spiega. “Quando sviluppiamo un modello matematico per simulare l’impatto di un terremoto, poi lo mettiamo al servizio della protezione civile, cosi come quello per scegliere una operazione di bypass coronarico è a disposizione dei cardiochirurghi. In un Paese che funziona correttamente vi è un dialogo aperto tra i diversi attori del processo, una governance in cui vi sono competenze specifiche con ruoli complementari”. Le intelligenze insomma ci sono, adesso come in un algoritmo matematico serve la capacità di gestire tutte le variabili.

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