I trent'anni di vita spaziale del telescopio Hubble
È l'anniversario del lancio del "più grande salto di conoscenza dell’umanità" che ha portato l’universo nelle nostre case e nei libri di scuola
Ciao a tutti, sono il telescopio Hubble e oggi compio 30 anni di vita nello spazio. Scusate se me la tiro ma, secondo solo a un certo Galileo Galilei, mi hanno definito il più grande salto di conoscenza dell’umanità: non uno qualsiasi insomma.
Porto il nome di un grande fisico della prima metà del 1900, Edwin Hubble, che fu il primo a ipotizzare l’espansione dell’Universo e fu anche il primo ad osservare un’altra galassia oltre la nostra. Il mio nome non mi piaceva all’inizio, avrei preferito nomi moderni tipo Leo, Finley o Lewis, ma in fondo non si addicono a un telescopio. Qua in orbita mi chiamano HST e mi ci sono affezionato.
Tutto cominciò il 24 aprile 1990 quando i miei genitori NASA ed ESA (Agenzia Spaziale Europea) hanno deciso che fosse il mio momento. Mi hanno mandato in un’orbita a 600 chilometri d’altezza con lo Shuttle Discovery assieme a uno specchio di 2,4 metri di diametro (piccolo rispetto ai telescopi terrestri). Secondo i miei genitori sarei stato nella condizione migliore per poter osservare il cielo senza dover fare i conti con l’atmosfera che purtroppo non rende accessibili tutte le lunghezze d’onda della luce. Avete presente quel tipico comportamento scintillante delle stelle quando osserviamo il cielo? Ecco, con un colpo solo partivo già in vantaggio rispetto ai telescopi terrestri.
Dopo pochi mesi di vita, il tempo di ambientarmi al silenzio spaziale, accadde qualcosa che – ancora oggi – faccio fatica a raccontare io stesso. Con mia profonda vergogna, gli scienziati si accorsero che le immagini che mandavo a terra facevano letteralmente pena. Avevo un piccolo problema, facile da risolvere se non fossi stato nello spazio e non mi muovessi alla velocità di 8 km al secondo. Avevo una aberrazione sferica sullo specchio primario e lo specchio non si poteva sostituire: le mie foto erano “fuori fuoco”. Qui viene il bello: signore e signori sono stato il primo ad essere progettato con la possibilità di essere riparato in orbita.
L'immagine della Galassia M101 prima (1992) e dopo la riparazione del telescopio (1994)
Tutti i miei sistemi sono accessibili, ho maniglie utilizzabili dagli astronauti e i miei diversi strumenti sono modulari ed estraibili. Addirittura ho un sistema di portelloni per l’accesso alla strumentazione di bordo. La faccio breve: nel 1993 sono arrivati qui un paio di astronauti e mi hanno fatto diventare “grande” inserendo opportunamente dei piccolissimi specchi correttivi. Tra le tante immagini che ricordo, mi è rimasta impressa una bellissima immagine della Galassia M101 che avevo spedito agli inizi della mia missione e guardarla con gli occhi nuovi mi fa quasi commuovere. Scusate, non ero così sentimentale una volta, vi vedo tutti da quassù, saranno i “trenta” che fanno questo effetto. Mi sto lasciando trasportare e non va bene, quindi, se non vi dispiace, mi sembra giunto il momento di raccontare alcune imprese che – modestamente – senza di me non avreste neanche potuto immaginare.
Quella cui tengo particolarmente è quella del Natale 1995. In 10 giorni consecutivi ho osservato ripetutamente la stessa piccolissima porzione di cielo (più o meno grande come una palla da tennis posta a 100 metri di distanza osservata da un occhio umano). Con un tempo di osservazione così lungo son riuscito ad ottenere un mosaico che è rimasto nella storia: migliaia di galassie giovani distanti oltre 10 miliardi di anni luce nella stessa immagine. Facendo intuire come ogni piccola regione del cielo contenga migliaia e migliaia di galassie e più guardiamo lontano più vediamo com’era il nostro universo. Ma non è finita con i deep field. A cavallo tra il 2003 e il 2004 e infine nel 2012 ho ottenuto il massimo che si potesse ottenere con la mia strumentazione ottica: come se avessi scritto un libro di storia dell’universo compresso in una singola immagine fotografica. Più di 5.000 galassie in una singola foto, di tutte le forme, di tutti i colori e di tutte le età, fino a 13 miliardi di anni luce.
Immagini come Hubble Ultra Deep Field, del 2014, sarebbero state impossibili senza i numerosi aggiornamenti ricevuti dal telescopio nel corso della sua vita. foto NASA, ESA, H. Teplitz e M. Rafelski (IPAC / Caltech), A. Koekemoer (STScI), R. Windhorst (Arizona State University) e Z. Levay (STScI)
Vi ho portato a fare un giro tra le galassie primordiali, ho fotografato stelle giganti, oggetti complessi e ammassi stellari. E quando vi ho fatto vedere il primo esopianeta ruotare attorno alla sua stella? Che tempi. Ho ripreso una supernova esplodere e poi spegnersi, ho identificato la presenza di buchi neri all’interno della galassie, ho portato l’universo nelle vostre case e nei libri di scuola: mi sembra di leggere il copione di Blade Runner. Grazie a me avete viaggiato nel tempo, avete calcolato l'età dell'universo, la distanza delle galassie e la velocità di espansione. Molti mi chiamano “il telescopio della gente”, siete troppo buoni: spero solo di essere riuscito nell’impresa di avvicinare quello che altrimenti sarebbe irraggiungibile.
cattivi scienziati
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