(foto LaPresse)

Buone notizie

Enrico Bucci

C’è qualche luce nel buio tunnel di questa pandemia. I primi studi indicano che una soluzione c’è

Questa settimana abbiamo registrato un po' di notizie positive sul fronte della battaglia globale contro il coronavirus. In uno studio clinico francese su 129 pazienti, il tocilizumab – l’anticorpo che interferisce con l’interleuchina 6 durante la tempesta infiammatoria che il virus scatena nei casi gravi – sembra ridurre sintomi e morti nel gruppo dei trattati rispetto al gruppo di controllo. In un altro studio, questa volta negli Stati Uniti, il remdesivir – una piccola molecola capace di bloccare la replicazione del virus – ha ottenuto risultati tali da spingere l’altrimenti compassato dottor Anthony Fauci a dichiarare che vi sia una chiara evidenza del suo funzionamento e a somministrare, per ragioni etiche, il remdesivir anche ai pazienti che erano nel gruppo di controllo. Sembra infatti che, nonostante due precedenti studi sul remdesivir piuttosto inconcludenti e piuttosto mal disegnati non avessero mostrato benefici chiari, nello studio americano randomizzato e controllato su oltre mille pazienti si sia ottenuto un chiaro beneficio in termini di riduzione dei giorni di ospedalizzazione e un risultato al limite della significatività per quel che riguarda la riduzione del numero di morti (che nel gruppo trattato con remdesivir sono risultate di un terzo inferiori). 

 

In un lavoro pubblicato su Nature, avendo esaminato centinaia di pazienti, si è concluso che in tutti i casi si sono generati anticorpi contro il virus; non sappiamo quanto protettivi, ma comunque è già una buona notizia osservare una risposta immune così completa.

 

In Corea del sud, la massima autorità sanitaria del paese responsabile per fronteggiare il coronavirus ha annunciato che la ripositivizzazione al test PCR di centinaia di pazienti guariti dal virus non corrisponde a reinfezioni o riemersione del virus in quei pazienti, ma semplicemente alla persistente presenza di frammenti di Rna virale derivati da virus ormai inattivati.

 

E’ evidente che in tutti i casi, persino quando i dati sono stati pubblicati su riviste come Nature, si tratta comunque di notizie preliminari, che necessitano di più ampia convalida e di più dettagliata analisi; quindi non è il caso di correre a festeggiare, perché il nemico è ancora ben presente e lungi dall’essere sconfitto, e perché gli annunci sono una cosa, i dati e i numeri sono un’altra.

 

Però, è chiaro che la ricerca sta accendendo qualche luce nella notte pandemica che ha avvolto il mondo; e non è nemmeno il caso di ignorare quei segnali che indicano vie promettenti, crogiolandosi in un pessimismo paralizzante e inconcludente.