Covid e fake data
Con internet, subito a disposizione testi, discussioni, dati. E anche gli errori di una prima valutazione
Per millenni, nessuna conoscenza era facilmente disponibile: era anzi appannaggio di pochissimi, che per ruolo sociale ne erano depositari o per censo e stato sociale vi avevano accesso. Oggi, tuttavia, internet ha cambiato le cose: non solo i testi, ma le discussioni e i dati sono a disposizione di un’enorme fetta della popolazione mondiale, senza selezione di ingresso e senza intermediari, con pochissime limitazioni (principalmente di natura linguistica). Non solo: gli scambi che prima avvenivano soprattutto in via verbale, oggi sono immediatamente fissati in testi o videoregistrazioni, senza nessuna revisione o maturazione, così come sono istantaneamente concepiti. In questo mare di informazione noi oggi navighiamo per orizzontarci di fronte al Covid-19 e cercare di diminuire la nostra ignoranza in materia, discutendo con gli altri di ciò che riteniamo di aver appreso, sia per condividere sia per migliorare il nostro bagaglio informativo.
Tuttavia, vi è un grosso problema: eventuali nostri errori, che sono più probabili data la velocità molto elevata con cui consumiamo grandi quantità di informazione, sono immediatamente esposti in forma scritta e dunque permanente a un pubblico molto vasto, che va molto oltre quello sostanzialmente benevolo costituito da parenti e amici, e include sia sconosciuti che competitori, nemici, psicopatici di ogni sorta.
L’errore di giudizio in una prima valutazione frettolosa, quindi, non solo non è invisibile come in passato, ma è sottoposto al giudizio di un pubblico di gran lunga più ampio e ostile. L’impossibilità di correggere prima che altri ci scoprano e stigmatizzino, causa la difesa a oltranza di posizioni deboli, perché tutto si svolge di fronte a un numeroso pubblico, rendendo ogni discussione una protezione della propria credibilità a rischio per un errore palese e indelebile, invece che un mezzo per raggiungere una miglior conoscenza su di un argomento. Nell’impossibilità di correggersi discretamente, si preferisce difendersi. In aggiunta, ben presto nel pubblico si formano squadre di tifosi, animate dalla competizione che vedono svolgersi sotto i propri occhi in diretta, così sottraendo il controllo della contesa anche a coloro da cui essa era stata iniziata, ove intendessero raggiungere un accordo.
Questo meccanismo, descritto con abbondanza di dettagli in molte sedi, sta intralciando la disamina serena di quanto man mano si acquisisce sulla epidemia in corso: lo spettacolo delle (finte) contese televisive è stato sostituito da scontri autentici sui social, che creano squadre di seguaci e profeti del plasma, dei vaccini, del Tocilizumab, della clorochina e così via, cui si oppongono tifoserie di segno avverso. A loro volta, le masse polarizzate attirano la politica, così che i partiti – secondo l’etimologia della parola – si comportano da parti avversarie su temi che non dovrebbero essere divisivi.
Il rimedio? Ancora una volta, le regole sobrie del ragionamento scientifico sui dati, che devono essere accettate da tutti come metodo di discussione dentro e fuori dei social. Vale per il pubblico, come per gli scienziati e i medici: contro il virus, c’è una sola squadra, e quella squadra siamo noi.
Cattivi scienziati
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