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Cattivi scienziati

Il virus e i numeri. Previsioni possibili

Enrico Bucci

Analisi quantitativa e modelli predittivi: l’importanza di affidarsi ai dati nel valutare malattia e cura

In generale, potremmo chiederci, qual è il ruolo dell’analisi quantitativa e numerica in medicina, specialmente durante una situazione di emergenza come un’epidemia? A che servono quei ricercatori che siedono dietro a una tastiera, rispetto ai clinici che si trovano in prima linea nelle corsie degli ospedali? Credo che dovremmo riflettere, invece di seguire l’istinto dello scolaro che, di fronte a un teorema alla lavagna, fa palline di carta con cui bersagliare il compagno più attento – come pare che si divertano a fare alcuni clinici in questi giorni.

 

Dividiamo innanzitutto analisi quantitative di ciò che sta succedendo e modelli predittivi di ciò che succederà. Per il profano, una curva che descrive quanto è già successo e il suo prolungamento nel futuro sono indistinguibili: in realtà, da un punto di vista concettuale, sono due modi diversi di trattare gli stessi dati.

 

Il primo modo, la descrizione numerica di ciò che sta succedendo, ci aiuta a superare i nostri bias. Se vediamo nel nostro ospedale molti più pazienti con sintomi lievi, oltre che molti meno pazienti, possiamo immaginare di essere di fronte a una malattia diversa; ma se teniamo in conto le classi di età dei pazienti, la loro abbondanza, la loro mortalità e il tempo differente per un esito di guarigione o di morte – cioè se contiamo nel modo giusto – potremmo scoprire che non c’è nessuna malattia diversa. O magari, dopo aver corretto “l’impressione clinica” con i numeri, potremmo scoprire che sì, la malattia è cambiata. L’importante, nel valutare sia una malattia sia una sua presunta cura, è affidarsi non all’istinto ma ai numeri, perché, da Galileo in poi, “La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l’universo, ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica […]”.

 

Il secondo modo, quello delle previsioni di ciò che succederà a partire dai dati che abbiamo, è quello dell’incertezza e dei modelli quantitativi. Dati alla mano, noi costruiamo un’idea semplificata di un fenomeno, con una serie di equazioni matematiche; dopo di che, assumiamo che il nostro modello sia tutto ciò che cattura l’essenza del fenomeno osservato e che, così come si attaglia bene ai dati del passato, descriva bene anche i dati futuri. Questo secondo modo di usare i dati è il terreno su cui falliscono anche i migliori ricercatori; e la ragione sta non solo nel fatto che i dati a disposizione possono essere di pessima qualità, ma nel fatto che i modelli, per essere utili, devono essere semplici – e non è detto che un fenomeno complesso e stocastico come un’epidemia sia catturabile da modelli semplici. La necessità della semplicità sta nella trattabilità e nel fatto che modelli con troppe variabili e troppi parametri, non noti o noti con ampia incertezza, finiscono per proiettare nel futuro un’incertezza così ampia da essere inutili – come dire che domani posso avere da 0 a un milione di morti. E’ dunque impressionante il fatto che in epidemiologia abbiamo almeno alcuni modelli che permettono di fare previsioni su scala locale e a breve termine; per il resto, essi sono come le previsioni del tempo, che si trovano ad affrontare fenomeni ugualmente stocastici e che perdono di accuratezza man mano che ci si allontana nel futuro. Utili per prevedere qualitativamente – per esempio che sta arrivando un uragano – ma non per indovinare da qui a dieci giorni la sua insorgenza con una certa forza e una certa direzione. Dunque, gli scenari che prevedono alla terza cifra significativa il numero massimo di letti che saranno occupati a una certa data sono semplicemente cattiva modellistica; ma le dichiarazioni circa il pericolo di una ripresa epidemica esponenziale, ove si verifichino le stesse condizioni in cui si è chiusa l’Italia, sono qualitativamente corrette e utili. Al di là delle nostre sensazioni attuali, cliniche o meno.

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