Harvard prenda nota
Un po’ di trasparenza su questioni che riguardano l’etica professionale nel mondo della ricerca non guasterebbe
Un professore italiano molto noto all’estero, il quale fino a circa un anno fa guidava un gruppo di molto successo ad Harvard, è stato prima invitato a dirigere un'importante istituzione di ricerca padovana, indi rispedito indietro, perché sospettato di molestie nei confronti di una più giovane collega del suo laboratorio di Harvard. Tali molestie, che egli ha dichiarato essere dovute a una “sbandata romantica” e a seguito delle quali avrebbe chiesto scusa, scuse che però la diretta interessata ha negato, hanno provocato un’alzata di scudi della comunità scientifica padovana – ma anche nazionale – nonostante siano state minimizzate come irrilevanti non solo dal professore in questione, ma anche da chi, a tutti i costi, lo voleva a Padova; e basti qui ricordare ciò che ha scritto su un importante quotidiano la professoressa Antonella Viola, la quale, ricordando quelle malate attenzioni che ha dovuto ella stessa subire, ha giustamente osservato che non esistono “sbandate romantiche” tra datore di lavoro e sottoposta che possano giustificare un comportamento molesto, visto che – come poi ha confermato la ricercatrice di Harvard – chi, in posizione di inferiorità lavorativa, subisce certe attenzioni, per prima cosa teme per il proprio futuro, specialmente in un mondo come quello della ricerca scientifica, in cui le posizioni sono raramente permanenti per i più giovani. Del fatto in sé, sia per quel che riguarda gli aspetti particolari che per quel che riguarda considerazioni più generali, si è parlato nei giorni scorsi, e credo si parlerà ancora a lungo; a me interessa però focalizzare l’attenzione del lettore su un punto specifico.
L’università di Harvard, a partire dal momento in cui ha concluso le sue indagini sul professore in questione, ha mantenuto uno strettissimo riserbo sull’intera vicenda; sebbene questi sia a quanto pare stato costretto a lasciare quella prestigiosa istituzione, di fatto sino a pochissimo tempo fa non vi era nessuna spiegazione che non fosse sussurrata nei corridoi. Ancora oggi, Harvard fa udire un assordante silenzio, non consono a una istituzione fra le più prestigiose della ricerca mondiale, ma non nuovo per quella università quando si è trattato di coprire passati scandali occorsi nei suoi laboratori. Questo comportamento è, francamente, inaccettabile. La trasparenza su questioni che riguardano l’etica professionale nel mondo della ricerca non è mai stata troppo di moda; ma, quando vi sia un caso come quello che traspare dalle stesse parole del professore che ha poi lasciato quell’istituzione, non è possibile mantenere una fitta nebbia su cosa sia effettivamente successo; a maggior ragione quando altre istituzioni siano interessate a conoscere i particolari della vicenda, perché hanno in ballo procedure di arruolamento che potrebbero, alla fine, portare ad errori clamorosi di valutazione – come si è rischiato accadesse a Padova. Harvard non può pensare di essere unico arbitro nei confronti di un proprio affiliato, il quale poi, anche se eventualmente colpevole, è comunque libero di andare per il mondo, senza che quella università avvisi di cosa è successo le altre istituzioni scientifiche; né può, con il suo silenzio, alimentare ombre e pettegolezzi, senza fare chiarezza in modo esemplare. E’ già successo che quella istituzione americana credesse di essere al di sopra di tutto e di tutti, e nascondesse le pecche o i comportamenti erronei di propri affiliati; ma l’università di Padova, che ricordo ha ospitato Galileo, esiste da ben prima di qualunque centro di ricerca americano, e non è pensabile tener nascosto ciò che ad altri – soggetti direttamente interessati, ma anche altre istituzioni – potrebbe arrecare danno, per voler preservare la propria immagine, a scapito di tutto e di tutti.
Trasparenza, integrità, giustizia: sono valori che anche ad Harvard si insegnano, e bisogna che siano applicati in pieno.
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