Cattivi scienziati
Brutte reinfezioni
Indipendentemente dalla gravità dei sintomi del primo contagio, al secondo si può finire in terapia intensiva
Per quanto ne sappiamo oggi, la reinfezione da Sars-CoV-2 è un evento raro. Essa è possibile perché, come ormai sempre più lavori scientifici hanno documentato, esiste una certa percentuale di pazienti, minoritaria sul totale, che non sviluppa un'immunità anticorpale alla malattia, nemmeno per un periodo breve.
In questi rari casi, è possibile che il virus sia sconfitto grazie alla sola risposta cellulare e ad altri tipi di risposta immune, senza il ricorso ad anticorpi; motivo per il quale, una volta che siano esposti nuovamente al virus, essi sono ancora suscettibili di infezione e di malattia.
Tuttavia, finora non erano noti casi di malattia grave causata dalla reinfezione: tutti i casi sin qui documentati con certezza, grazie al sequenziamento genetico del virus che mostrava differenze tra la prima e la seconda infezione, avevano un decorso molto lieve nella reinfezione, indipendentemente da quanto accaduto in occasione della prima infezione.
Dal punto di vista meramente statistico, tuttavia, poiché si sa che il virus nella stragrande maggioranza dei casi provoca sintomi lievi o nessun sintomo, e visto che la reinfezione è un evento raro, era atteso che i casi di reinfezione mostrassero malattia lieve o assente, finché almeno non si fosse raggiunto un numero sufficiente di casi a scoprire se questa fosse una caratteristica generale o invece fosse dovuta semplicemente alla statistica.
Adesso, dalla Spagna è arrivata la soluzione a questo dilemma, e non è una buona notizia: chi si reinfetta, indipendentemente dalla gravità dei sintomi nella prima infezione, può finire in terapia intensiva. In particolare, il direttore del reparto di malattie infettive dell’ospedale di Barcellona, il dottor Bonaventura Clotet, ha comunicato quattro casi di reinfezione tra i suoi pazienti, fra cui un medico che, sebbene avesse avuto in una prima infezione una forma lieve di COVID-19, a seguito di una reinfezione è finito in terapia intensiva.
Sebbene non si tratti di dati ancora pubblicati su una rivista scientifica, il responsabile della sanità pubblica della Catalogna, Josep Maria Argimon, ha confermato la notizia. A queste notizie si aggiungono le dichiarazioni di alcuni medici del Nevada, che riferiscono anche in questo caso di un caso grave di COVID-19 a seguito di reinfezione.
Dunque, a quanto pare, osservare casi gravi di malattia ove un soggetto si reinfetti era solo questione di tempo; questo implica che di certo la strategia di raggiungere un’immunità di gregge naturale è impraticabile. Non implica, invece, che i vaccini siano da abbandonare; questo perché già oggi è possibile osservare come i candidati vaccini inducano una risposta anticorpale in una frazione praticamente completa della popolazione testata; ed è possibile che, anche se gli anticorpi circolanti decadono rapidamente, la memoria B si formi comunque, proteggendoci meglio in caso di esposizione al patogeno naturale.
In ogni caso bisogna a tutti i costi abbandonare un’idea messianica delle vaccinazioni, che costituiscono solo una delle possibilità che abbiamo per controllare il virus; la via farmacologica, che ha dato risultati per esempio eccellenti nel caso del virus dell’epatite C e di HIV, deve essere tenuta altrettanto in conto.