Cattivi scienziati
Quanto incide sui contagi la riapertura delle scuole?
Cresce il numero dei nuovi positivi e dei tamponi processati. Ma capire se le classi sono un driver epidemico non è semplice perché i dati sono disomogenei. Un'analisi
Sono 10.874 i nuovi positivi al Covid-19 registrati ieri dalla Protezione civile a fronte di 144.737 tamponi processati (45.875 in più rispetto a lunedì, quando i nuovi positivi erano stati 9.338). In crescita il numero dei ricoveri: +778 in reparti ordinari e +73 in terapia intensiva. 89 i decessi. Dopo la Lombardia, anche la Campania ha chiesto al governo di autorizzare il coprifuoco dalle 23 alle 5.
Come si può sapere se la riapertura delle scuole ha avuto o no un effetto sulla progressione dell’epidemia? In linea di principio la risposta è abbastanza semplice: dobbiamo riuscire a valutare se, rispetto all’andamento complessivo osservato nella società, restringendo l’analisi alle scuole è possibile osservare un andamento significativamente diverso nella crescita dei casi di infezione. Tuttavia, esaminando più da vicino la questione, ci accorgiamo subito che la cosa non è così facile, per almeno due ragioni importanti, riassunte nelle seguenti domande: Come delimitiamo la comunità da considerare per l’analisi che riguarda la scuola, da paragonare all’intera società? Includiamo solo gli studenti ed il personale scolastico? O anche le loro famiglie? O anche il personale degli scuolabus? Come possiamo sapere se un contagio e il successivo cluster di propagazione si sono verificati in una classe scolastica e non, per esempio, al compleanno di uno degli alunni?
A questi problemi di principio, bisogna aggiungere anche il fatto che le regioni sono tra loro molto disomogenee nel tracciamento dei casi all’interno delle aule scolastiche: alcune prescrivono il test per tutti i compagni di classe di un caso infetto, altre invece lasciano la decisione alla valutazione di addetti appositi, altre ancora ordinano la quarantena immediata di una classe e, infine, altre ancora no... Queste diverse indicazioni di tracciamento e contenimento, naturalmente, rendono estremamente disomogeneo il dato che si può ottenere da ogni scuola, e di conseguenza rendono impossibile capire, se non a livello di comunità locale, quanto e come la scuola possa essere un driver epidemico. Fortunatamente, però, possiamo ricorrere a un diverso approccio. Possiamo cioè considerare se, regione per regione (e quindi in omogeneità di regole di tracciamento e isolamento), l’apertura delle scuole, dopo circa un mese, ha causato un cambiamento di traiettoria dell’epidemia, oppure, invece, non ha modificato in modo apprezzabile quanto è successo. Peraltro, considerando che alcune regioni hanno aperto le scuole a dieci giorni di distanza dalle altre (la Campania, ad esempio), in presenza di un contributo significativo delle scuole alla ripresa dell’epidemia, per queste regioni dovremmo osservare uno spostamento temporale di pari entità.
Questa semplice analisi è stata adottata dall’Associazione “Patto Trasversale per la Scienza”, di cui faccio parte attivamente, per arrivare a una prima, importante, anche se necessariamente preliminare, conclusione: al momento, i dati escludono un significativo apporto delle scuole all’epidemia in corso, tale da peggiorare quanto già accade indipendentemente. Questo non esclude affatto che non vi siano casi sempre più frequenti nelle classi e che, soprattutto in certe regioni, il tracciamento debba essere fatto meglio né esclude che, se si opera come in Israele eliminando del tutto ogni precauzione nelle aule scolastiche non si osservi un picco di casi. L’effetto che si osserva nelle aule scolastiche per il momento riflette semplicemente il peggioramento generale della situazione italiana per cui le scuole non appaiono altro che un campione di una più ampia diffusione del virus nel nostro paese. L’analisi completa, con dati consolidati, sarà resa disponibile entro la fine di questa settimana; se i risultati saranno confermati, bisognerà affermare che la decisione di chiudere le scuole, laddove si rispettino le norme usuali di contenimento del virus e si migliorino i protocolli in quelle regioni che sono carenti, dovrebbe essere l’ultima delle misure da cui, se presa singolarmente, ci si può aspettare un effetto rilevante di contenimento dell’epidemia.
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