cattivi scienziati
Test per un vaccino
La sperimentazione: come si opera durante i trial di fase 3, la fase finale, e come si arriva alla soglia minima di efficacia. Un lungo processo
Forse è il caso di ricordare come funzionano gli studi sui vaccini che in questi giorni sono discussi a causa della comunicazione di origine aziendale circa i risultati raggiunti. Questo può servire sia a valutare la reale consistenza delle informazioni aziendali, sia a rassicurare sui loro esiti, sia infine a mostrare come e perché si opera durante i trial di fase 3 – lo stadio finale della sperimentazione prima della eventuale domanda di approvazione rivolta alle autorità regolatorie. Dunque: innanzitutto un vaccino, diversamente da qualsiasi altro tipo di farmaco, viene sperimentato su persone sane. Questo significa che, al momento in cui ricevono la loro dose, né coloro che sono trattati con il placebo né coloro che sono trattati con il candidato vaccino sono ammalati. L’idea è che, trattando in cieco con il vaccino o con il placebo i soggetti selezionati, se questi sono successivamente esposti al virus a causa del fatto che nei paesi ove vivono il virus circola, sarà possibile a posteriori determinare quanti si sono infettati fra coloro che hanno ricevuto il vaccino e quanti fra coloro che sono stati trattati con il placebo.
Poiché bisogna fare in modo di avere un sufficiente numero di soggetti infettati dal virus per stabilire la protezione conferita dal vaccino, e siccome l’infezione è un processo casuale, nei trial si arruolano decine di migliaia di volontari; in questo modo, si spera di raggiungere un numero sufficiente di infezioni quanto prima, in modo da mettere subito dopo “al sicuro” con il vaccino anche coloro che hanno ricevuto il placebo. Proprio per questo motivo, non si aspetta di certo che siano infettate migliaia di persone, condannandole alla malattia, per terminare gli studi clinici: al contrario, si cerca di raggiungere il numero di soggetti contagiati più piccolo possibile, per poter ottenere una prova di efficacia che sia statisticamente robusta. Già: ma come determinare questo numero minimo? In generale, questa stima viene fatta sulla base dell’efficacia attesa per il vaccino. Se io ritengo che un vaccino sia efficace al 100 per cento, per provarlo mi serve un numero piccolo di persone infette, che ovviamente si troveranno tutte nel gruppo dei soggetti trattati con placebo; ma se, più realisticamente, intendo superare semplicemente la soglia di efficacia minima fissata dalle autorità regolatorie (protezione al 50 per cento), allora ho bisogno di un numero di soggetti infetti un po’ più ampio.
Naturalmente, se il vaccino funziona particolarmente bene, potrò essere sicuro di aver superato la soglia minima di efficacia anche con poche decine di soggetti, perché la differenza fra soggetti vaccinati e trattati con placebo sarà subito statisticamente significativa; per esempio, posso essere certo di aver superato la soglia di efficacia necessaria con 164 infezioni, come nel caso del vaccino di Pfizer, ripartite in modo così diseguale fra soggetti vaccinati e soggetti trattati con placebo, che l’ipotesi che il vaccino non conferisca una protezione di almeno il 50 per cento ai soggetti vaccinati è molto remota, e posso determinare con una certa confidenza la percentuale di efficacia. In realtà, se le infezioni sono ripartite in modo molto diseguale tra vaccinati e gruppo di controllo, anche con un numero di infezioni molto più piccolo diciamo poco sopra la trentina – posso essere ragionevolmente certo di aver superato il 50 per cento di protezione; quello che però non posso in alcun modo stimare con precisione, è se la percentuale di protezione sia del 90, del 92 o del 95 per cento, come per esempio comunicato da AstraZeneca o dai russi per il loro vaccino.
Queste percentuali sono cioè numeri al lotto. Concludendo: è corretto fermare i trial di fase 3 non appena si è raggiunto un numero minimo di infezioni, ripartite in maniera così diseguale fra gruppo di controllo e vaccinati, che io non debba aspettare altre infezioni, le quali non sarebbero etiche; ma il risultato raggiunto su gruppi così piccoli non è quello della determinazione precisa della protezione (quella arriverà dopo, negli studi successivi), bensì quello del superamento di una soglia minima di efficacia. Tutto sarà poi valutato dalle agenzie regolatorie, cui ci affidiamo perché sono di gran lunga meglio della pubblicazione su una rivista scientifica, per verificare che quanto dichiarato dalle aziende sia vero e ben interpretato; un processo che faticosamente si svolge durante mesi e con la collaborazione di moltissimi scienziati, non in 48 ore con l’ausilio di un paio di revisori (come recentemente mi è capitato per una rivista come The Lancet a proposito di un vaccino).
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Un altro promotore della pseudoscienza al potere in America
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