(foto LaPresse)

cattivi scienziati

Non abbassare la guardia, anche se il picco epidemico sembra passato

Enrico Bucci

Se gli individui smettono di rispettare le norme di distanziamento sociale oppure cominciano a diventare tolleranti nei confronti di un numero alto di morti giornaliere, allora i casi giornalieri (e le morti) possono rapidamente ricominciare a crescere

Passare un “picco” epidemico non significa affatto che il rischio epidemico declini rapidamente. In particolare, se gli individui smettono di rispettare le norme di distanziamento sociale che hanno portato al picco (cioè alla fine della crescita epidemica), oppure cominciano a diventare tolleranti nei confronti di un numero alto di morti giornaliere, allora i casi giornalieri (e le morti) possono rapidamente ricominciare a crescere. Queste sono le conclusioni di un lavoro pubblicato il 1° dicembre sulla rivista Proceedings of the National Academy of Science Usa, scaturito dalla volontà degli autori di modellare meglio l’andamento delle curve epidemiche osservate in tutti i paesi del mondo, le quali mostrano una serie di “plateau”, spalle e declini lenti dopo aver rapidamente raggiunto un picco di casi (e di morti).

 

L’affaticamento nei confronti delle norme di contenimento e della comunicazione, dimostrato dagli autori misurando l’aumento della mobilità individuale ben prima che i casi e le morti inizino a diminuire, così come cambi del comportamento che emergono gradualmente su periodi piuttosto lunghi, sono in grado di giustificare le evidenti deviazioni osservate nelle curve epidemiologiche rispetto ai modelli che incorporano semplicemente l’effetto delle misure restrittive, ma non tengono conto dell’adattamento del comportamento delle persone su periodi di mesi, comportamenti che bilanciano la consapevolezza del rischio alzando la tolleranza individuale nei confronti dello stesso. Quanto gli autori dimostrano formalmente, a partire dalle misure che sono riferite al loro campione di studio, vale evidentemente anche per il nostro paese, e si applica perfettamente a quanto sta succedendo in questo momento in Italia.

 

La saturazione comunicativa e l’affaticamento nel seguire norme che modificano le nostre abitudini in maniera sostanziale si traducono negli assembramenti che si stanno verificando in prossimità del Natale, e che molto probabilmente continueranno anche se il numero di morti settimanali è elevatissimo e non è ancora diminuito. La nostra soglia di attenzione, ormai, si è alzata notevolmente, e questo è uno degli effetti più deleteri dell’infodemia legata alla pandemia, oltre che delle prolungate misure di contenimento e dell’appesantimento burocratico, economico e sociale. Il problema è che questo innalzamento comporta, di conseguenza, un aumento anche della soglia di rischio reale necessario perché il rischio percepito sia tale da farci essere prudenti.

 

In queste condizioni, è possibile che il virus, che circola ancora a livelli elevatissimi, possa di nuovo riprendere ad accelerare la sua diffusione, soprattutto perché non vi sono evidenze sostanziali del raggiungimento di un numero di immuni sufficientemente elevato; e dunque non è remota la possibilità che saremo colpiti ancora da una terza ondata, prima di riuscire a vaccinare una fetta consistente della nostra popolazione. A questo punto, potrebbe persino darsi che le persone non saranno interessate più di tanto alla cosa, a meno di non lavorare in un ospedale o di essere colpite da vicino; il che, naturalmente, non farà che favorire ulteriormente quel filamento di circa 30.000 basi di Rna, che costituisce il genoma virale, il quale potrà ancora una volta contare su un ambiente cognitivo medio più che favorevole.

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