Il dibattito pubblico su Covid-19 e dintorni è un campionario di bias cognitivi, gli stessi che portano le persone comuni a credere alle superstizioni e alle medicine alternative. Fatto singolare, ma non sorprendente, è che a usare questi bias siano anche scienziati o intellettuali, anche molto prestigiosi. Sin dai primi giorni della pandemia abbiamo ascoltato esperti, ergo persone intelligenti, parlare nei media per “sentito dire” sulla durata del fenomeno pandemico, sull’efficacia delle misure di controllo (mascherina sì o no), sui tamponi (a chi farli e quanti farne), sulle conseguenze di aprire le scuole, sulla durata dell’immunità contro il virus, sulle cause della cosiddetta seconda ondata. Ovvero senza fornire prove di quanto dicevano. E poi se il virus è attenuato o meno, se gli asintomatici sono malati, se il vaccino debba essere un bene comune, quanto i vaccini siano controllati per sicurezza ed efficacia. Abbiamo assistito a una saga dell’irrazionalità, talvolta nella forma particolare, studiata dagli psicologi cognitivi, delle “persone intelligenti che pensano/dicono cose stupide”.
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