Quando qualcuno ha paura, a nulla serve dirgli di non averne, anzi così si peggiora l’apprensione. Ma ragionare talvolta ci calma
Siamo tutti in trepida attesa e pari ansia per l’arrivo del vaccino anti Covid. Allo stesso tempo, non sopportiamo l’idea che qualcuno ci passi davanti in fila per chi si deve vaccinare, ma vorremmo che fossero altri a iniziare “per vedere di nascosto l’effetto che fa”, come diceva una canzone di Enzo Jannacci. Siamo accalcati, idealmente, all’ingresso del centro di vaccinazioni e vorremmo essere contemporaneamente i primi e gli ultimi a vaccinarci. Ossia aspettiamo il momento giusto in cui i nostri istintivi timori si attenueranno vedendo che tanti vaccinati prima di noi stanno bene, e i timori saranno piuttosto che finiscano le dosi e passi il nostro turno. Non può essere un caso che il presidente Sergio Mattarella e la Regina Elisabetta hanno offerto i loro corpi come testimonial per incoraggiare tutti a vaccinarsi. Ma cosa ci trattiene? Cosa ci fa esitare proprio ora che il vaccino ci può restituire a una qualche forma di socialità e intimità? Noi che abbiamo portato figli e nipoti a fare vaccini multivalenti fidandoci ciecamente del medico della mutua? Noi che siamo (quasi) la prima generazione che non ha subìto la tortura di essere infilati in forni di metallo per la cura della poliomielite? Il nuovo fa paura. Anche la velocità della ricerca scientifica ci impressiona: avranno fatto tutti i controlli e le verifiche? Poi ci si mette anche qualche camice bianco a sobillare dubbi e la frittata è fatta.
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