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Cattivi scienziati

Gara darwiniana

Enrico Bucci

La lotta fra il genoma umano e quello dei virus può arrivare a un punto d’equilibrio

Molti, avendo toccato con mano che le nuove varietà di virus emergono di continuo, e che queste varietà non sembrano affatto meno aggressive nei nostri confronti, sono giustamente spaventati dal crollo del mito della veloce e necessaria coevoluzione di virus più benigni, un’idea superata da un secolo. Costoro chiedono ai ricercatori di sapere cosa succederà, e in particolare se emergeranno velocemente nuove varianti capaci di superare le nostre difese – i vaccini, in primis, ma potrei scommettere che la stessa domanda circolerà ancora quando avremo farmaci efficaci. Da un punto di vista generale, il genoma di un virus non è altro che un programma alternativo per le nostre cellule, un programma che ha come effetto solo secondario la disorganizzazione del nostro organismo e la malattia.

 

Noi continuamente interagiamo profondamente con moltissimi altri codici genetici, o per meglio dire con le loro manifestazioni, e con l’ambiente; in questo caso, l’interazione avviene potremmo dire per sostituzione del nostro stesso genoma con uno diverso e più efficiente nel reclutare la macchina che serve a costruire le proteine di cui siamo fatti sia noi che il virus. D’altra parte, in risposta a una serie di stimoli che originano dalla presenza del virus (dunque del suo genoma) e che nell’insieme costituiscono e coordinano il nostro sistema immune, altre porzioni del nostro Dna in cellule non ancora infettate sono attivate sia per produrre molecole di difesa, sia per scatenare cellule killer, sia infine per avviare una serie di “mutazioni” controllate, le quali generano una varietà di anticorpi. Questi sono poi selezionati dal virus stesso per essere in grado di bloccarlo, ma a loro volta selezionano genomi virali mutanti in grado di evadere la risposta anticorpale.

 

 

Da questo punto di vista, si potrebbe dire che, nel momento in cui il virus ci invade, si scatena una sorta di “dialogo mortale” tra il nostro Dna e una popolazione di diversi genomi virali, in cui le informazioni sullo stato del virus o del nostro sistema immunitario sono “lette” da ciascun contendente attraverso le modifiche che inducono nell’ambiente del nostro corpo e generano risposte che portano, infine, a prevalere l’uno o l’altro dei due tipi di genoma in competizione – quello della persona infettata o quelli dei virus infettanti. In questo processo, la nostra mente collettiva interviene inducendo modifiche ambientali sotto forma di farmaci o vaccini in grado di sfavorire la popolazione virale del momento, inserendo quindi un ulteriore livello di “complicazione” nel dialogo appena descritto; ma ciò a sua volta inevitabilmente provoca la selezione di altri genomi virali nell’enorme ventaglio disponibile.

 

Con ogni patogeno – ma sarebbe meglio dire con ogni organismo – noi possiamo quindi arrivare solo a raggiungere un punto di equilibrio dinamico, in cui le modifiche che imponiamo all’ambiente virale con i nostri farmaci, i nostri vaccini e le misure non farmacologiche sfavoriscono la popolazione virale presente in quel momento, ma portano all’emergere di nuove sottopopolazioni diverse; e questo punto di equilibrio può trovarsi in una situazione a noi più o meno favorevole, ma solo in casi particolarissimi ed estremi porta alla scomparsa di uno dei contendenti. Quanto sarà favorevole a noi questo punto di equilibrio dipende dalla nostra capacità di innovazione, dalle nostre tecnologie e dalla nostra capacità di governo, cioè da come sapremo usare i mezzi che abbiamo nella gara darwiniana fra il genoma della nostra specie a quello non di uno, ma di miliardi di virus.

 

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