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Una gestione problematica

Il grande pasticcio italiano sul vaccino AstraZeneca

Luciano Capone e Giovanni Rodriquez

La riduzione delle dosi (che però aumentano), gli errori dell’Aifa, la disorganizzazione di stato e regioni

La gestione del vaccino di AstraZeneca, uno dei tre autorizzati in Italia, è stata problematica dall’inizio della campagna di vaccinazione ed è stata caratterizzata da inefficienze da parte di tutti gli attori in causa, pubblici e privati: produttore (AZ), regolatore (Aifa), pianificatori e somministratori (Stato e Regioni). La casa farmaceutica anglo-svedese, come ormai noto dallo scontro con la Commissione europea, non riesce a garantire nei tempi stabiliti le dosi previste dal contratto con l’Ue; l’Aifa, con decisioni discutibili e poi riviste, ha dato l’indicazione all’uso più restrittiva al mondo (inizialmente solo per persone “sane” tra 18 e 55 anni) a differenza delle altre principale autorità regolatorie (a partire dall’Ema) creando incertezza e diffidenza; lo Stato e le Regioni, in parte spiazzate dalle decisioni di Aifa, non sono riusciti a organizzare le vaccinazioni e ora il vaccino AZ, pur essendo il più semplice da distribuire e somministrare, è in gran parte inutilizzato (solo una dose su dieci è stata somministrata).

 

Forniture dimezzate?

Quanto al problema degli approvvigionamenti, la Reuters, citando fonti Ue, ha spiegato che l’azienda farmaceutica avrebbe dovuto fornire all'Ue 180 milioni di dosi entro giugno, ma di queste ne arriveranno meno di 90 milioni. Ma è davvero così? Parlare di un dimezzamento può essere fuorviante. Ricordiamo che AstraZeneca aveva già annunciato lo scorso 22 gennaio all’Unione europea un dimezzamento delle forniture per il primo trimestre a causa di problemi di produzione. Un ritardo che l’azienda avrebbe tentato di colmare nel corso del secondo trimestre. Questo annuncio aveva già portato il ministero della Salute a una rimodulazione nella tabella degli approvvigionamenti del piano vaccini Covid. Rispetto alla tabella dell’8 febbraio, nella quale si prevedeva l’arrivo di 22 milioni di dosi nel secondo trimestre, l’aggiornamento del 12 febbraio aveva rimodulato al ribasso, in 10,04 milioni, le dosi attese tra aprile e giugno.

 

In totale dovrebbero quindi arrivare 15,34 milioni di dosi di AstraZeneca in Italia nel primo semestre. Alla luce di questi dati già noti, una presunta fornitura per l’Ue di 90 milioni di dosi (invece dei 180 milioni previsti dal contratto), così come annunciato da Reuters, si tradurrebbe per l’Italia in oltre 12 milioni di dosi (il 13,4% del totale) solo nel secondo trimestre. Pertanto la “riduzione” si tradurrebbe in un aumento del 20% circa di dosi rispetto a ciò che il governo si attende (10 milioni di dosi) dopo aver già scontato i precedenti annunci di taglio delle forniture. C’è poi da segnalare che AstraZeneca, ieri, ha non solo confermato le forniture di oltre 5 milioni di vaccini per l’Italia previste per il primo trimestre, ma anche l’impegno a consegnare più di 20 milioni di dosi nel secondo trimestre. Quindi rispetto all’ultima tabella del piano vaccini, entro il prossimo 30 giugno, potremmo avere addirittura 10 milioni di dosi in più del previsto.

 

Revisione del limite di età

Lo scorso 30 gennaio l’Agenzia del farmaco, discostandosi dall’Ema che aveva autorizzato l’utilizzo del vaccino nei soggetti al di sopra dei 18 anni, su indicazione della sua Commissione tecnico scientifica aveva però consigliato un “utilizzo preferenziale” del vaccino AstraZeneca in soggetti tra i 18 e i 55 anni, “per i quali sono disponibili evidenze maggiormente solide”: un tetto persino più restrittivo di quello imposto in Germania (65 anni). Questa indicazione aveva portato a uno stravolgimento del piano vaccini, con un’apertura anticipata della fase di vaccinazione di massa. In funzione di questa nuova necessità, sono stati quindi previsti due percorsi paralleli: proseguire la prima fase vaccinando  operatori sanitari, ospiti delle Rsa e over 80 con  Pfizer e Moderna; e al contempo avviare la somministrazione di massa di AstraZeneca su under 55 e “non fragili” a partire da categorie ben definite, come forze armate e personale scolastico.

 

A seguito del pressing politico di governo e regioni, la Commissione tecnico-scientifica dell’Aifa lo scorso 17 febbraio ha alzato il tetto per somministrare il vaccino di AstraZeneca ai soggetti fino ai 65 anni di età in buone condizioni di salute. Indicazione poi recepita da una circolare del ministero della Salute che apre all’utilizzo del vaccino di AstraZeneca anche per i soggetti di età compresa tra i 55 e i 65 anni, specificando inoltre che può essere usato anche per i soggetti “con condizioni che possono aumentare il rischio di sviluppare forme severe di Covid-19 senza quella connotazione di gravità riportata per le persone definite estremamente vulnerabili”. In sostanza, un cambio di indirizzo totale rispetto alla prima autorizzazione. Il cambio di rotta è stato motivato da un nuovo parere della Cts di Aifa e da alcune precisazioni del Consiglio superiore di sanità, ma entrambi i documenti non sono stati resi pubblici, con buona pace della trasparenza. Una manovra che, purtroppo, non fa che alimentare i dubbi di quanti, tra 55 e 65 anni, dovranno ricevere un vaccino che fino a due giorni era stato giudicato inadeguato per loro. 

 

Le regioni non usano AZ

Le lamentele sulle forniture e sui limiti di età  andrebbero lette anche alla luce della capacità  di somministrare questi vaccini. A oggi, su oltre 1 milione di dosi consegnate, ne è stato somministrato circa il 10% con enormi disparità territoriali. Diverse regioni non hanno tirato fuori dal frigo neppure un flaconcino AZ, mentre altre (poche) sono arrivate a utilizzare dal 70 al 100% delle dosi ricevute. Accade così che mentre i presidenti di regione si lamentano in tv dei tagli degli approvvigionamenti, gli  enti da loro governati non fanno neppure un vaccino. Lo stato, a partire dalla struttura Commissariale che dovrebbe gestire il piano a livello nazionale, non sembra capace di coordinare né di dare indicazioni. Ogni regione fa un po’ come vuole. E solo una parte è riuscita a includere nella propria rete vaccinale i medici di medicina generale e le farmacie.  In questo momento per buona parte del paese quello delle forniture è solo uno, e neppure il principale, dei problemi da affrontare data le scarse performance registrate.

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