Cattivi scienziati

Le pericolose relazioni fra politici e scienziati svelate dal Covid

Enrico Bucci

In Italia manca del tutto l’indipendenza dalla politica, sia a livello nazionale sia a livello locale. Proviamo a fare un piccolo inventario

C’è un elemento che bisognerebbe tener presente quando si considera la risposta che la comunità scientifica del nostro paese, e particolarmente la sua componente di ricerca clinica e medica, ha dato alla pandemia. Manca del tutto l’indipendenza dalla politica, sia a livello nazionale che – ancora peggio – a livello locale. Proviamo a fare un piccolo inventario.

 

In Italia disponiamo di una rete di istituti di cura e ricerca sanitaria, i cosiddetti Irccs, di cui la maggioranza sono pubblici. Ebbene, il direttore scientifico di questi è nominato dal ministro della Sanità, sentito il presidente della Regione ove ha sede l’istituto. Per gli Irccs privati la politica gioca comunque un ruolo indiretto, visto che molto spesso tali istituti sono abbondantemente finanziati con denaro pubblico attraverso apposite convenzioni, consentendo quindi una vasta influenza al governo, soprattutto a quello regionale.

Naturalmente, le nomine a livello dei singoli ospedali sono pure esse totalmente sotto il controllo della politica regionale, che spartisce e amministra come vuole; ed è presso gli ospedali che si conduce la ricerca clinica, anche quella per il Covid-19. Ancora peggio, l’influenza della politica si estende alla nomina dei vertici di Aifa, che ha un ruolo importantissimo nell’approvazione dei farmaci ma anche degli studi clinici. Né i maggiori enti di ricerca nazionali sono immuni: per quel che riguarda gli enti che conducono almeno in parte ricerca in ambito biomedico, politica è la nomina, per esempio, del presidente del Cnr (e certo non meno influenzata è quella del suo direttore generale). Persino la carica di rettore delle università, ormai, si intreccia sempre più spesso con il gioco politico locale.

  

Ora, se tutte le istituzioni dedicate alla ricerca clinica e biomedica di base, in tutte le loro forme, hanno vertici che comunque sono nominati per via politica; se questa politica è sempre più spesso una politica regionale, che esercita influenza non solo attraverso le nomine, ma pure attraverso il controllo dei finanziamenti con la gestione di cospicui finanziamenti attraverso la strada delle convenzioni; se, infine,  per alcuni grandi e importanti enti regolatori, come Aifa, vige lo spoil system, si capisce che la comunità scientifica del paese, per lo meno nei suoi vertici, non possiede quella indipendenza necessaria a resistere a pressioni della politica per lodare questo o quel progetto, questa o quella strategia di contenimento, questo o quello studio clinico.

Così si spiegano le approvazioni di studi clinici senza senso, come quello su Avigan; così si spiegano le diverse linee guida prodotte dai vari comitati di esperti regionali, o persino dai singoli scienziati, che dichiarano il virus clinicamente morto, oppure che promuovono l’uso di test diagnostici diversi o anche l’uso di vitamine e farmaci di nessuna efficacia dimostrata; così si spiegano pure gli improvvisi amori delle comunità scientifiche locali per questo o quel prodotto delle industrie regionali, validato a furor di telecamere come vaccino risolutivo, anticorpo monoclonale del millennio e così via.

Le relazioni pericolose tra politica, spesso quella regionale, e comunità scientifica italiana: è questo uno dei mali principali che la pandemia ha portato sotto i riflettori, naturale prosecuzione della balcanizzazione del nostro Sistema sanitario nazionale. Ognun per sé: con tanti saluti al consenso scientifico globale, in nome di quello locale, anzi localissimo, come un qualsiasi prodotto dell’Italia dei campanili.
   

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