Cattivi scienziati
Puoi crederci un giorno, ma alla fine la falsa scienza non funziona
Quali sono le caratteristiche che distinguono la comunità dei ricercatori da un qualunque consesso da bar?
Solo un metodo realmente scientifico permette di fare previsioni efficaci e ottenere risultati validi
Sono recentemente stato ospite in una manifestazione organizzata dall’associazione “Lodi Liberale”, in cui ho avuto modo di chiacchierare con un amico – il prof. Michele De Luca, di Modena – e con il direttore di questo giornale, circa il problema dell’integrità dei ricercatori, argomento centrale sia della mia vita professionale che della mia attività di ricerca da ormai oltre un decennio. Tra gli argomenti discussi, uno mi sembra di un qualche rilievo anche per i lettori di questa rubrica – non a caso intitolata “Cattivi scienziati”: dato che, come evidente anche in questo ultimo periodo, osserviamo scienziati discutere di continuo, bersagliandosi dai palchi televisivi e dai social media; dato che, sempre più spesso, le pubblicazioni scientifiche non corrispondono per nulla a dati solidi o fatti scientifici assodati; dati infine gli esempi di clamorose frodi scientifiche, che hanno portato a ritrattare articoli pubblicati su riviste prestigiose come The Lancet proprio in tempo di pandemia, quando cioè avremmo più bisogno di una scienza solida e precisa nel fornire indicazioni; quali sono, infine, le caratteristiche che distinguono la comunità dei ricercatori da un qualunque consesso da bar, in cui vince chi la spara più grossa o chi è più bravo a imbrogliare il pubblico, approfittando della paura e del bisogno di informazioni innescato dalla pandemia?
La risposta che è immediatamente emersa nella nostra discussione, è stata sostanzialmente unanime: la scienza falsa, alla fine, non funziona. In altre parole, utilizzando scienza falsa non è possibile fare previsioni che siano efficaci, se non allo stesso modo in cui un orologio rotto può di tanto in tanto indicare l’ora corretta. Questo significa che, soprattutto per le questioni che maggiormente attirano l’attenzione, si fa presto a scoprire un problema nei dati o nelle deduzioni che da questi si traggono; e proprio per questo, mentre la frode scientifica su riviste sconosciute al fine di avvantaggiarsi nel curriculum può procedere per lungo tempo prima di essere scoperta, quando si tratta di argomenti di forte interesse, su riviste prestigiose, quando insomma si tenta di imbrogliare il largo pubblico facendo leva su questioni che premono a tutti, si può affermare con tranquillità che le frodi finiscono per essere scoperte. In questo senso, quindi, il pubblico può stare piuttosto sereno sul fatto che errori o falsificazioni saranno scoperti; tuttavia, c’è un problema non secondario che consiste nella differenza di tempo che ci vuole tra creare e propagandare una frode scientifica e certificare che di quello si tratti.
Tutti ricorderete un certo Joseph Dominus, personaggio inventato da un reale ricercatore al fine di creare eco mediatica per la terapia con il plasma iperimmune; e tutti ricorderete le pressioni politiche, mediatiche e sociali perché tale terapia fosse adottata, adombrando un complotto per tenerla nascosta. Naturalmente era tutto falso, e l’ennesimo studio Aifa dimostra ancora una volta – se ce ne fosse bisogno – che è molto difficile intravedere benefici solidi, figuriamoci salvare le persone in terapia intensiva, come si era sostenuto; la scienza, cioè, ha potuto provare che la stragrande parte delle affermazioni fatte erano false e, in taluni casi, probabilmente tese a ingannare il pubblico per motivi diversi.
Di esempi simili se ne potrebbero portare molti: una frode, un certo numero di controanalisi, e infine la verità. Il problema, tuttavia, è che nel tempo che ci vuole a usare davvero la scienza per indagare qualche specifico aspetto del mondo fisico, invece di riempire semplicemente la carta dei giornali e le pagine virtuali dei social, si compie spesso un danno non indifferente: a cominciare dal danneggiamento (irreversibile) della fiducia del pubblico, che da taluni viene aizzato contro la “scienza ufficiale”, come la chiamano, o contro ogni sorta di nemico immaginario, creando una contrapposizione che il pubblico percepisce essere legata al fallimento della scienza stessa nel trovare ciò che si immagina sia la verità, non all’azione di qualche singolo o di qualche gruppo che ha abbandonato il metodo scientifico e calca le scene del dibattito pubblico per proprio vantaggio. Il pubblico, come nel caso del legame vaccino-autismo, nonostante milioni di prove, ricorderà sempre l’eroe solitario – in questo caso il frodatore Wakefield – e potrà arrivare a convincersi che, alla fine, esistono più scienze alternative, e che una valga l’altra.
Qual è dunque il rimedio? Uno solo: la massima aspirazione di uno scienziato degno di tale nome (non certo l’unica, ma direi quella primaria) non è fornire risposte, ma trovare domande interessanti. Domande, cioè, costruite in una forma tale che si possa interrogare il mondo fisico con qualche esperimento ben fatto, per ottenere risposte; e la scienza sta tanto nel trovare un problema interessante, quanto nello sviluppare una via fondata sul metodo scientifico per ottenere quelle risposte, le quali saranno comunque interessanti, se i primi passaggi sono stati costruiti con rigore.
Chi grida sul risultato senza discutere prima del metodo, sta semplicemente manifestando il suo reale interesse: vendervi un risultato, invece che discutere l’interesse del problema affrontato e la bellezza dello strumento sperimentale utilizzato per produrre quel risultato. La prova scientifica richiede tempo e i risultati si raffinano; chi ha già pronto il rimedio, anche dovesse indossare un camice, è un venditore, probabilmente un truffatore.
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