cattivi scienziati
Uno studio dice che il Covid provoca la trombosi in misura molto maggiore di qualunque vaccino
i dati resi in un prepint dell'Università di Ofxord indicano chiaramente che il rischio di Cvt di cui dovremmo preoccuparci davvero è quello associato all’infezione
In questi giorni, sto spesso ricevendo obiezioni circa il fatto che i vaccini basati su adenovirus – AstraZeneca in particolare – comporterebbero un rischio molto basso di effetti rari, e specificamente di trombosi venosa cerebrale (Cvt) sulla popolazione generale, ma questo rischio sarebbe in realtà paragonabile al rischio clinico posto dal Covid-19 per la fascia dei più giovani (per esempio, per i minori di 40 anni). Per questo, sono importanti i dati giunti ieri dall’Università di Oxford, che sembrano dimostrare che così non è. In particolare, gli autori di un preprint proveniente da quella università hanno contato il numero di casi di Cvt diagnosticati nelle due settimane successive alla diagnosi di Covid-19, o dopo la prima dose di un vaccino. Poi li hanno confrontati con le incidenze calcolate di Cvt a seguito dell’influenza e con il livello basale nella popolazione generale. Rispetto a qualunque gruppo fra quelli considerati, la Cvt è risultata di gran lunga più frequente dopo Covid-19, e il 30 per cento dei casi registrati a seguito dell’infezione si è manifestata in soggetti con meno di 30 anni. Questa incidenza è risultata molto superiore, per qualunque fascia di età, rispetto a quella verificatasi a seguito del vaccino, e di oltre 100 volte superiore al livello di base nella popolazione.
Molto interessante è il dettaglio di questa analisi, che pone a confronto i vaccini a Rna con quello di AstraZeneca. In oltre 480.000 persone che hanno ricevuto un vaccino mRna Covid-19 (Pfizer o Moderna), la Cvt si è verificata in 4 persone su un milione, contro 5 persone su un milione dopo la prima dose del vaccino di AstraZeneca. Come dichiarato dagli autori dello studio, dai risultati ottenuti segue che innanzitutto è lo stesso Covid-19 a provocare, in misura molto maggiore di qualunque vaccino testato, la Cvt, che quindi è un ennesimo problema di coagulazione che Sars-CoV-2 può causare. Inoltre, anche per i minori di 30 anni il rischio di Cvt a seguito di infezione è di gran lunga maggiore di quello causato da qualunque vaccino.
Oltre alla trombosi venosa cerebrale, gli autori hanno monitorato nelle stesse popolazioni un altro evento trombotico raro, e precisamente la trombosi della vena porta del fegato. I risultati sono stati gli stessi, con in aggiunta un fatto nuovo: l’influenza causa un numero di eventi non indifferente, maggiore di quelli osservati con qualunque vaccino contro Sars-CoV-2.
Non è ancora possibile rispondere, nemmeno con i dati di questi autori, alla domanda circa l’elevazione del rischio rispetto al livello di base nei soggetti vaccinati, perché i numeri sono ancora piccoli per frequenze basse come quelle osservate in questo studio e nella popolazione in genere, né è realmente possibile confrontare i diversi vaccini fra loro, se non come tentativo (come fatto dagli autori), sia perché i numeri sono piccoli, sia perché i dati sugli effetti avversi dei vaccini a Rna e di AstraZeneca sono stati ricavati da due database differenti. Tuttavia, i dati resi noti indicano abbastanza chiaramente che il rischio di Cvt di cui dovremmo preoccuparci davvero – anche nelle fasce di individui più giovani – è quello associato all’infezione; considerato che, finché non si raggiungerà l’immunità di gregge, è molto probabile che tutti i soggetti suscettibili prima o poi si infetteranno, ognuno può facilmente comprendere cosa significhi rimanere per diversi mesi senza copertura vaccinale, in attesa magari di un vaccino a Rna.
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