il colloquio
La scienza di domani è buona già oggi. Il Cnr a guida Carrozza
La robotica e l’intelligenza artificiale per migliorare la salute e la qualità della vita. Intervista alla neo presidente
"La robotica in particolare e la tecnologia in generale vengono da sempre interpretate come qualcosa di disumanizzante, se ne paventano soprattutto i rischi per l’occupazione, in un’ottica neo-luddista, senza cogliere invece le prospettive di sviluppo collegate a queste innovazioni. Oggi, per fare un esempio, grazie alla rivoluzione digitale e all’intelligenza artificiale riusciamo a colmare molte distanze tra le persone, specialmente rispetto a quelle più fragili e sole”. Dal 12 aprile presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, Maria Chiara Carrozza è appunto una esperta di biorobotica, biomeccatronica e neuro-robotica. Tutti campi di cui si è tornato a parlare quando lo scorso agosto Elon Musk ha presentato la maialina Gertrude: un “cypork” cui era stato impiantato un chip. Primo passo di un percorso innanzitutto per restituire parola e mobilità a persone paralizzate, ma poi anche per dare all’uomo capacità che oggi sarebbero giudicate come paranormali.
“Arrampicarsi sulle rocce senza paura, suonare una sinfonia nella propria testa, vedere il radar con visione sovrumana, scoprire la natura della coscienza”, aveva detto Musk di questo “The Link”, come lo aveva chiamato. Scenari che possono sembrare inquietanti, fino a evocare film distopici tipo “Robocop”. Ma Maria Chiara Carrozza in questi campi ha lavorato, e il suo curriculum indica appunto una persona che queste prospettive le ha esplorate alla luce di un solido umanesimo.
Proveniente da una famiglia di tradizioni accademiche, laurea in Fisica a Pisa sulle particelle elementari e passaggio per il famoso Cern di Ginevra, Carrozza ha poi però virato questo interesse per la teoria fisica in un impegno per mettere certe scoperte al servizio di chi ha più bisogno. Diploma di perfezionamento in Ingegneria alla Scuola Superiore Sant’Anna, presso la stessa Scuola è stata poi borsista post-dottorato in Bioingegneria, ricercatrice di Bioingegneria meccanica, professoressa di Bioingegneria industriale, direttrice della divisione Ricerche e coordinatrice dell’Arts Lab, e infine Rettrice, fino a quando nel 2013 non è stata eletta deputato. E poi dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014 è stata ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel governo Letta. “Molti progetti di ricerca puntano allo sviluppo e all’impiego di dispositivi e terapie sempre più avanzati nella riabilitazione e nell’assistenza di anziani e disabili, ai quali possiamo assicurare quindi una migliore qualità di vita”, ci spiega. “Direi che dalla forte crescita in questo settore dobbiamo aspettarci un rinnovamento non solo tecnologico e applicativo, ma culturale ed esistenziale. I robot devono entrare nelle nostre case, la trasformazione non può riguardare solo il campo manifatturiero o la fruizione di beni e servizi, deve investire la domotica, la pubblica amministrazione, la sanità, l’istruzione”.
Nel 2018 è diventata direttrice scientifica della Fondazione Don Carlo Gnocchi: intitolata al sacerdote che assisteva i giovani invalidi e che morendo donò le sue cornee per ridare la vista a due ciechi. Nei progetti di ricerca da lei diretti ci sono obiettivi come protesi neuro- robotiche di mano o di gamba per restituire agli amputati il senso del tatto, la capacità di manipolare con destrezza, di camminare e di sostenere pesi. O esoscheletri per la riabilitazione di persone colpite da ictus o da patologie neuromuscolari. O dispositivi assistiti per disabili. Sembra grandioso. Ma qual è effettivamente la situazione dell’Italia nel campo della bioingegneria e della automazione? “Il sistema italiano soffre anche in questi settori della frammentazione delle piccole e medie imprese, tipica dell’economia italiana nel suo complesso. Ci sono alcune grandi aziende, ma con dimensioni che in realtà la Cina o gli Stati Uniti definirebbero medie se non addirittura piccole: queste definizioni variano sensibilmente da paese a paese, ma ormai la dimensione di scala con cui siamo chiamati a confrontarci è quella globale. Proprio a partire da questa estrema frammentazione, a mio avviso, dovrebbe però derivare un’attenzione ancora maggiore verso le prospettive offerte dall’automazione, un ambito in cui l’Italia è molto forte a livello di conoscenze e competenze: quello che occorre è favorire le alleanze e la crescita di sistema. Si dovrebbe investire sui ricercatori e favorire un cambiamento anche nella visione della ricerca. A volte si registra la tendenza a opporsi all’ingresso di grandi imprese o fondi d’investimento nei progetti imprenditoriali, compromettendone così la crescita. Mentre occorre attrarre gli investimenti nel campo tecnologico verso chi possiede le conoscenze e gli strumenti migliori. Tutti questi elementi vanno messi a sistema, in una filiera”.
Qual è la linea che intende dare al Cnr? “Sono ancora in una fase di ascolto, cerco prima di tutto di capire: ho da poco incontrato i direttori dei dipartimenti che mi hanno parlato con entusiasmo della grande ricchezza delle loro ricerche in tutti i settori, dalle scienze dure a quelle umanistiche. A breve incontrerò i direttori d’istituto e spero quanto prima di cominciare a visitare di persona le sedi dell’ente, anche quelle più periferiche, dove però si riscontra spesso una grande vitalità scientifica. Le dimensioni e l’articolazione disciplinare e territoriale del Consiglio nazionale delle ricerche sono una grande ricchezza, un patrimonio che però necessita di una gestione non banale. L’obiettivo che mi pongo è quello di valorizzare la trasversalità e la diffusione del Cnr e far sì che siano usate come volano per il progresso del paese, specialmente dopo questa pandemia”.
Crescerà l’interesse della politica per la ricerca in Italia dopo il Covid? Più in generale, la pandemia rappresenta un disastro o anche una opportunità? “Un disastro lo è stata, per l’Italia e per il mondo intero. I lutti e i danni economici lo sono stati. Per la ricerca scientifica e per la società, però, questa pandemia è anche sicuramente una sfida da combattere giorno per giorno: innanzitutto per mettere a punto nuovi farmaci e vaccini e per migliorare quelli esistenti. Poi anche per trasformare le imposizioni di questo periodo in occasioni di rilancio dell’economia, dei servizi. La digitalizzazione a cui accennavamo è un esempio emblematico. Per quanto concerne la prima parte della domanda, oggi in effetti c’è una consapevolezza più diffusa dell’importanza della ricerca e quindi anche del Cnr, che con la sua produzione scientifica ha dato tantissimo in questo periodo. Tale consapevolezza si deve però tradurre in concreti investimenti: nella ricerca di base, nelle competenze dei ricercatori, nella tecnologia. Abbiamo davanti molte sfide importanti, dalla formazione alla transizione ecologica, dalla salute umana a quella del territorio. I miliardi del Pnrr che saranno investiti in ricerca, senza dubbio, costituiscono una chance importante”.
E come giudica l’atteggiamento dei media e dei cittadini verso la ricerca? Non la preoccupa il problema delle fake news? “Mi preoccupa che si diffonda un livello culturale, di istruzione e di informazione corretta adeguato all’espressione di una compiuta cittadinanza, che non può essere pienamente esercitata senza tali presupposti. E credo che anche questo compito di disseminazione rientri tra i doveri non secondari di un grande ente come il Consiglio nazionale delle ricerche”. Dopo essere stata la più giovane rettrice d’Italia, lei ha stabilito un nuovo primato come prima donna presidente del Cnr. Cosa rappresenta questa novità? “E’ sicuramente un momento che segna un passaggio storico, uno spartiacque dal quale spero si possano raggiungere altri importanti traguardi. Perché le donne in posizioni apicali in campo scientifico e nelle università sono ancora troppo poche”.
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