La sfida di Singapore alla variante Delta
Nella città-stato la campagna vaccinale ha derubricato gli effetti del Covid, ormai dare il dato dei contagi ha poco senso. Ma si traccerà ancora. La doppia dose funziona
E’ ora di tornare a parlare di Singapore e della battaglia che quella città-stato ha condotto in maniera così esemplare contro il Covid-19. Per molto tempo, Singapore è stata l’esempio di quanto le misure non farmacologiche per il contenimento, a cominciare da un tracciamento molto dettagliato dei casi e dei loro contatti, fino ad arrivare a isolamenti estesi a ogni contatto di soggetti positivi, potessero essere efficaci se spinte molto in là per quanto riguarda la compressione dei diritti individuali. Tecnologia di tracciamento e diffusione delle informazioni su professione, spostamento e dati dei soggetti positivi, per allertare eventuali loro contatti, sono state usate estensivamente, insieme all’isolamento rigido di focolai anche di piccole dimensioni nella città, che conta oltre 5 milioni di abitanti. Il successo nel contenimento è stato evidente, anche considerata la prossimità della Cina; a Singapore i casi di infezione sono stati relativamente pochi, e in conseguenza di ciò sono state contenute anche ospedalizzazioni e morti.
Bene: diversamente anche da molti suoi vicini, Singapore oggi, nonostante l’avanzare nel mondo della più infettiva variante Delta, ha annunciato ai propri cittadini una serie di cambiamenti nel suo approccio alla pandemia. Innanzitutto, non saranno più comunicati giornalmente i dettagli dei singoli casi e si abbandonerà l’approccio che sin qui ha consentito ai singoli cittadini di valutare se fossero venuti a contatto con soggetti positivi, alla base dell’efficiente tracciamento effettuato. Invece, il rapporto quotidiano conterrà informazioni di tendenza, con particolare riguardo alla localizzazione e al numero dei focolai epidemici, e più che concentrarsi sulla conta dei positivi sarà focalizzato sulla conta dei vaccinati, degli ospedalizzati e dei ricoverati in terapia intensiva, non diversamente da quanto già avviene per le epidemie di influenza stagionale. Questa similitudine fra il nuovo approccio di monitoraggio del Covid-19 e quello dell’influenza è stata appositamente sottolineata dal governo, che intende mandare un messaggio di “declassamento del rischio” ai propri cittadini, con ovvie conseguenze psicologiche attese: il Covid, dice il ministero della Salute, è ormai una malattia che merita attenzione in misura non superiore ad altre malattie respiratorie con cui siamo abituati a convivere. L’obiettivo non è l’eradicazione, considerata irrealistica, quanto il contenimento e la convivenza – quest’ultima realizzata attraverso tutti i mezzi di monitoraggio epidemiologico ordinari, e non più tramite lo straordinario utilizzo di ogni tecnologia possibile e la focalizzazione dell’attenzione dei cittadini sui positivi con cui si potrebbe essere venuti in contatto.
Perché questo cambiamento? E perché proprio a Singapore, che fin qui era all’avanguardia nella politica di tracciamento, proprio grazie alla tecnologia, alla comunicazione e alla focalizzazione dell’attenzione dei propri cittadini su Sars-CoV-2? La ragione è presto detta: la differenza rispetto ai mesi passati è costituita dal tasso di vaccinazione alto della popolazione, in crescita tale che si crede di raggiungere la copertura totale entro agosto.
Da quel momento, è chiaro che per il governo di Singapore il dato interessante non sarà più il monitoraggio dei positivi al virus – non più di quanto lo sarebbe per qualunque altro coronavirus stagionale – ma il monitoraggio dei casi ospedalieri e fra questi di quelli più gravi, per seguire l’eventuale emergenza di varianti più patogene o, soprattutto, più immunoevasive. Singapore, in altre parole, fa un investimento di fiducia nel dato scientifico fin qui ottenuto, quello che indica che i vaccini migliori offrono copertura dagli effetti clinici molto efficace dopo due dosi, anche in presenza della variante Delta. Mette “dietro le quinte” il monitoraggio epidemiologico, non interrompendolo, ma evitando la comunicazione di dettagli non più necessari ai suoi cittadini, in vista della protezione offerta dai vaccini.
Se questi funzioneranno come sembra, Singapore ha ragione: è inutile caricare emotivamente i cittadini, ed è invece utile lanciare un messaggio di ritorno a una relativa normalità. Vi sono però delle condizioni, di cui il ministero della Salute di quel paese è ben conscio; vi sono cioè misure di sorveglianza da mantenere, per questo e per futuri virus, senza per tale motivo dover comunicare alla popolazione alcunché. Innanzitutto, il monitoraggio mediante sequenziamento deve continuare, in maniera robusta e statisticamente valida rispetto alle dimensioni della popolazione e al numero di infetti totali: questo perché una variante maggiormente immunoevasiva potrebbe emergere, e bisogna accorgersene per tempo, ben prima che si comincino a invertire i trend di ospedalizzazione. In secondo luogo, bisogna esser certi di raggiungere l’obiettivo prefissato di copertura vaccinale; cosa apparentemente facile per uno stato la cui popolazione è la metà di quella israeliana, ma bisogna tener conto del pendolarismo lavorativo, soprattutto di lavoratori molto poveri, difficilmente tracciabili e che vivono in condizioni di sovraffollamento e di scarso controllo epidemiologico. Un po’ come i milioni di palestinesi non vaccinati in Israele o come i lavoratori stranieri nei nostri campi. Infine, bisogna tener conto del fatto che non conosciamo la durata dell’immunità conferita dagli attuali vaccini: la macchina operativa per un’eventuale campagna di richiamo va mantenuta in piedi, così come i contatti con le aziende produttrici necessari per ulteriori rifornimenti ove se ne manifestasse la necessità. In questo senso, si può agire sui centri vaccinali per le malattie stagionali e dell’infanzia, potenziandoli in modo che siano in grado quando necessario di vaccinare l’intera popolazione, e non solo le fasce a maggior rischio; bisognerebbe che nel nostro paese si passasse da una gestione di emergenza a una gestione ordinaria di vaccinazioni su grande scala.
Con questi presupposti, la scelta di Singapore appare giusta: è davvero ora per i paesi che hanno raggiunto o stanno per raggiungere ampia copertura vaccinale di rassicurare i propri cittadini circa il passaggio a uno stato di “ordinaria gestione” di quello che, grazie ai vaccini, può diventare uno fra i tanti patogeni umani: pericoloso, ma sotto controllo.