CATTIVI SCIENZIATI
Salvare il pianeta? Sì, guardando avanti e senza demonizzare la scienza
L'unica speranza per la nostra specie è dare ascolto ai dati, formulare ipotesi verificabili, cercare soluzioni che funzionino. Perché il pensiero magico non può aiutare l’ambiente in alcun modo
Devo fare una confessione ai miei lettori: io sono un ecologista convinto, e per questo sono profondamente empatico con chiunque abbia come obiettivo quello di cercare di diminuire il nostro impatto sul pianeta in termini di risorse estratte, paesaggio distrutto, specie estinte o ridotte al lumicino, inquinamento, riscaldamento globale e tutti gli effetti negativi dovuti all’adozione di uno stile di vita poco sostenibile da parte di miliardi di esseri umani. Come chiunque abbia letto i dati disponibili, spesso in buon accordo anche con ciò che possiamo sperimentare direttamente, sono preoccupato perché mi pare evidente che davvero stiamo tagliando il ramo su cui sediamo, a causa del fatto che, nati come specie rara, abbiamo sviluppato un talento tale, per sfruttare a nostro vantaggio le risorse di questo pianeta, da mettere in ultima analisi in pericolo la sopravvivenza della nostra specie e di moltissime altre a causa del nostro eccessivo successo.
Il nostro cervello non prevede freni intrinseci, istintivi all’accaparramento delle risorse che ci circondano, al fine di rendere più agiata la nostra vita, a scapito di qualunque essere vivente che non sia compreso nella cerchia ristretta delle nostre dirette relazioni sociali e di consanguineità; e così, dal più umile organismo vivente fino ai bambini che nascono in regioni del mondo meno potenti di quelle in cui abitiamo, in assenza di condizionamenti particolari di tipo educativo o emotivo, è sufficiente la distanza dalla vista e l’assenza di prossimità immediata, o persino la semplice assuefazione allo spettacolo, perché possiamo lasciare tranquillamente sterminare chiunque e consumare qualunque cosa, se ciò consente un agio maggiore per l’esistenza nostra e dei nostri parenti e amici. Ecco perché sono molto contento per ogni ettaro di foresta preservato, per ogni miglio di parco marino protetto, per ogni kilowatt ora di energia risparmiato, per ogni tonnellata di gas serra non emessi o ricatturati, per ogni metro cubo di suolo risparmiato dall’erosione e dall’inaridimento, per ogni litro di acqua mantenuto potabile, per ogni grammo di concime, insetticida o fitofarmaco non erogato, per ogni animale non impallinato o pescato.
Se non bastassero gli argomenti razionali, io e tantissimi altri abbiamo scelto di studiare biologia esattamente perché siamo affascinati ed emotivamente catturati dal racconto infinito della bellezza della vita su questo pianeta, in tutte le sue forme, splendide o terribili che siano, microscopiche o gigantesche. D’un fiato, durante il nostro corso di studi abbiamo consumato libri di ecologia, di fisiologia vegetale e animale, di zoologia, di anatomia comparata, di microbiologia, e potrei continuare ancora a lungo; eppure, ancora adesso, io e tutti coloro che si sono un poco addentrati nello studio del vivente siamo assetati di nuova bellezza, di nuovi insegnamenti e di nuovi racconti derivanti dall’osservazione del mondo naturale. Io e come me tantissimi altri siamo devastati dal vedere distrutto l’oggetto del nostro amore e dei nostri studi da una colata di cemento, da una motosega, da litri di inquinanti, plastiche o altri rifiuti sversati nei campi, nel mare, nell’aria e ovunque si possa sfuggire ai controlli, perché conosciamo bene – proprio grazie ai nostri studi – la perdita irreparabile che ne consegue.
Ed ecco perché non è possibile per noi tollerare chi, sfruttando le giuste preoccupazioni di tanti, lucra sull’ambientalismo e sull’ecologismo proponendo a pagamento pratiche magiche come la biodinamica per diminuire l’impatto ambientale, o inventandosi artificiosi sistemi di pensiero che dividono il “chimico” dal “biologico”, oppure ancora demonizzando tutti gli altri per vendere alla fine a un prezzo “premium” nei supermercati i propri prodotti.
C’è una sola speranza – una speranza, non una certezza – per la sopravvivenza a lungo termine della nostra specie, in un ecosistema meno deteriorato possibile e con una qualità di vita migliore possibile: dare ascolto ai dati, cercare soluzioni che funzionano dati gli obiettivi che ci si propone, fare ipotesi che siano verificabili.
Lasciarsi irretire dai racconti del bel tempo che fu – spesso falsi – può essere affascinante, ma il ritorno al passato potrebbe funzionare solo se tutto, compresa la consistenza numerica della nostra specie e la qualità di vita individuale, tornasse ai livelli del passato; trattandosi ovviamente di una pretesa impossibile, non si può far altro che guardare avanti, a come nutrire, vestire, attrezzare, curare, governare e perché no anche divertire e istruire una specie di miliardi di individui.
Guardare avanti significa smetterla di demonizzare la scienza, mero strumento nelle nostre mani, come se a essa fossero intrinseci dei fini malefici e volti all’arricchimento e al vantaggio di singoli a svantaggio di tutti gli altri. La scienza, come forma di pensiero organizzato sui fatti e di metodo per la loro analisi, è solo mezzo, ed è intrinseca all’uomo quanto il respirare, perché intrinseca all’uomo è la volontà di conoscere e fare previsioni sulla base delle osservazioni empiriche e del ragionamento; alla scienza dobbiamo la misura e la conoscenza del degrado ambientale, in tutte le sue forme; alla scienza dobbiamo dare il giusto fine, non demonizzarne i ritrovati sulla base di precondizionamenti culturali che rifiutano la sintesi in un laboratorio, ma poi accettano di nutrirsi con cibo contaminato da fumonisine, oppure che respingono l’industria farmaceutica, e poi negano l’emergenza di un nuovo virus e di una pandemia.
Guardare avanti significa salvaguardare gli organismi viventi, l’acqua, l’aria, la terra, utilizzando al meglio il nostro cervello per trovare rimedi utili o per prevedere le conseguenze dei nostri comportamenti, non inventarsi dei rimedi magici o adottare certi modi di agire rifiutandone altri sulla base della “tradizione” o delle invenzioni di qualche matto dei secoli passati.
Guardare avanti significa, infine, sapere che certamente sbaglieranno anche gli scienziati, e vi saranno errori anche gravi; ma molti meno, e con molta maggiore speranza di essere scoperti, di quanti ce ne sarebbero se ci abbandonassimo all’esoterismo, al pensiero magico, all’oscurantismo retrogrado che oggi vanno di moda, e che stanno alimentando un mercato crescente e se ne alimentano.
Portateci una decina di studi in doppio cieco, con l’analisi di tutti i fattori confondenti, che dimostri che un metodo, magico o meno, è meglio degli altri e aiuta il pianeta – tutto, non solo quello degli abitanti con il portafogli pieno disposti a pagare il “premium price” – ma fino ad allora smettetela di usare l’ecologismo e l’ambientalismo per giocare ai piccoli rivoluzionari, per fare più soldi, per intorbidare le menti e il pensiero critico dei cittadini in nome delle panzane che vendete.
cattivi scienziati
La débâcle della biodinamica in vigna
Cattivi scienziati