cattivi scienziati
I veri numeri dei contagi in Israele
Mettiamo ordine sulle infezioni a Tel Aviv. I vaccini non fermano la variante Delta? Nessun dato lo dimostra. Si può essere ottimisti
Cosa sta succedendo in Israele? Forse il vaccino di Pfizer/BioNTech non funziona, come affermano quasi trionfanti le voci social dei soliti No vax? Proviamo a mettere in fila i dati. Dopo oltre una settimana di ripresa dei casi, ripresa dovuta principalmente alla variante Delta, siamo passati da meno di 10 nuovi casi a settimana ad oltre 100 casi. Ran Balicer, epidemiologo a capo della direzione generale di sanità israeliana, fa sapere che il 50 per cento circa dei casi riguarda minori (tutti non vaccinati); fra gli adulti, circa il 50 per cento era invece vaccinato. Ora, la popolazione adulta vaccinata in Israele è pari circa all’85 per cento; dunque il rapporto fra vaccinati e non vaccinati è di circa 5,7 a 1. D’altra parte, poiché il vaccino Pfizer ha un’efficacia nel prevenire l’infezione da variante Delta di circa l’80 per cento, dovremmo osservare per ogni 5 casi tra i non vaccinati un caso fra i vaccinati. E’ facile capire che siccome i vaccinati adulti sono pari a circa 6 volte i non vaccinati, ci aspettiamo di ritrovare, fra gli infetti adulti, soggetti vaccinati in una percentuale un po’ superiore al 50 per cento; il che è per ora perfettamente in linea con ciò che si sta osservando. Del resto, quando in Israele si sarà vaccinato il 100 per cento della popolazione, tra gli infetti troveremo il 100 per cento di vaccinati: la composizione del campione di partenza, da cui traiamo i soggetti infetti, determina cioè la percentuale finale di vaccinati in qualunque campione di popolazione guardiamo.
La percentuale di vaccinati tra gli infetti ovviamente influenzerà a sua volta la percentuale di vaccinati tra gli ospedalizzati e i morti; percentuali alte di vaccinati in questi gruppi non sono la prova che il vaccino non funzioni, ma solo che molta parte della popolazione di partenza è stata vaccinata. E come fare quindi a sapere se il vaccino sta funzionando, soprattutto per quel che riguarda la prevenzione dei casi clinici? Le ospedalizzazioni, in Israele, sono stazionarie o in lieve diminuzione da almeno tre settimane; potremmo incautamente considerare questo dato come positivo, ma siccome la crescita dei casi è recente e le ospedalizzazioni hanno un certo ritardo rispetto alle infezioni, non possiamo dai dati israeliani dedurre (ancora) granché – anche considerando che il numero di ospedalizzati totali è nell’ordine della cinquantina di individui. Possiamo, però, guardare a un paese che è già stato abbondantemente colonizzato dalla variante Delta, un paese che ha un tasso di vaccinazione completa molto minore di Israele: la Gran Bretagna.
I dati sono ancora preliminari, perché basati su numeri piccoli di pazienti osservati per almeno 28 giorni dopo l’infezione; al momento, però, il “case fatality rate” complessivo della variante Delta, cioè il numero di individui che si sono infettati e sono morti, appare minore rispetto al passato – un effetto che ci si aspetta se il vaccino diminuisce la gravità clinica dell’infezione. E’ presto per cantare vittoria, perché i dati andranno guardati anche per età, quando si disporrà di numeri sufficienti; ma questa evidenza preliminare, unita ai dati di protezione dall’ospedalizzazione pubblicati su Lancet a partire da oltre 14 mila pazienti, induce a un certo ottimismo circa l’efficacia dei vaccini dal punto di vista clinico.
Quel che è sicuro, è che al momento non esiste nessun numero per gridare al fallimento dei vaccini di fronte alla variante Delta; e chi ciancia a sproposito di percentuali di vaccinati fra gli infetti, senza considerare da dove quelle percentuali vengono fuori, cerca solamente di alimentare la sfiducia nei vaccini, come probabilmente ha sempre fatto in precedenza con altri argomenti.
Cattivi scienziati