Abuso di fracking
Il sisma di Strasburgo e il crollo di Miami sono legati. E il clima non c'entra nulla
Il caso della geotermia richiama un problema delle energie rinnovabili: il consumo del suolo e del sottosuolo
A Miami un condominio, costruito su terreni paludosi, si sbriciola per la corrosione delle fondamenta causando morti e feriti. A Strasburgo un terremoto di 4,4 gradi di magnitudo è per la prima volta (anche se c’era stato un incidente analogo a Basilea) attribuito ufficialmente ad attività umane: i test effettuati da una società di energia geotermica nel sottosuolo per estrarre il calore dalle rocce. Cosa hanno in comune i due eventi? Due cose: l’attività di corrosione o alterazione dei sistemi ambientali locali che l’acqua (del mare o pompata dall’uomo) può produrre nel sottosuolo; la necessità (man mano che evolvono le tecnologie) di fare indagini accurate, di avere nuove regolazioni e tecniche di prevenzione e mitigazione nello sfruttamento del sottosuolo.
Sia a fini costruttivi civili e abitativi, sia a fini estrattivi ed energetici. L’incidente di Miami, gravissimo e preoccupante per la reiterabilità (quanti edifici poggiano su terreni paludosi? Qual è la tenuta reale del cemento se sottoposto a processi corrosivi?) richiama un effetto preoccupante di un climatismo essenzialmente ansiogeno: l’enfasi sulle catastrofi future (esempio, quelle sulle conseguenze dell’innalzamento dei livelli degli oceani) sta, forse, oscurando la realtà di quelle incombenti e attuali. Ad esempio, l’urgenza di verifiche e interventi di mitigazione sugli effetti della densità abitativa sulle coste, sui danni e i pericoli delle costruzioni civili su terreni sabbiosi o paludosi, sulle accelerazioni corrosive delle acque marine sui materiali e il cemento che utilizziamo.
Forse l’allarme climatico sulle emissioni nel lunghissimo periodo, l’ansia sugli effetti indotti dalle temperature dopo il 2050 (tra cui primeggia la paura sul livello futuro degli oceani) porta a trascurare i pericoli presenti e a devolvere risorse alla mitigazione climatica, invece di utilizzarle oggi per la sistemazione delle coste e degli insediamenti abitativi costieri. La cosa vale anche per l’inquinamento, quello reale, costituito dai composti chimici, veleni permanenti e sostanze tossiche contenute nella combustione di petrolio e gas: l’enfasi esclusiva sulla CO2 da gas serra (un non inquinante) porta a sottodimensionare gli interventi concreti per disinquinare.
L’evento di Strasburgo richiama, invece, un altro effetto problematico del climatismo ansiogeno: l’affidamento all’uso debordante ed esclusivo delle energie rinnovabili (sole, vento, geotermia, biomasse) che sta facendo emergere un problema imprevisto di queste ultime: la sostenibilità. Per ammissione della società di “energia verde” proprietaria della centrale geotermica di Fornoche, i terremoti ripetuti nell’area metropolitana di Strasburgo sono conseguenza dell’attività di estrazione del calore con nuove tecniche (pompaggio di acqua ad alta pressione per fratturare le rocce che contengono calore e portarlo in superficie). Questa tecnica ha effetti “ambientali” che non vanno esagerati, ma neppure sottaciuti: oltre all’abuso dell’acqua (risorsa scarsa) e all’alterazione degli ecosistemi del sottosuolo (liberazione di sostanze chimiche e tossiche dai terreni che si fratturano), c’è anche quello che origina sismicità locale.
La tecnica utilizzata in geotermia ha analogie con il fracking (la tecnologia utilizzata, negli Usa, per l’estrazione di gas naturale dalle rocce di scisto) che, se è consentito per la geotermia, in Europa è invece vietato per il gas. Difformità di un uso spesso ideologico delle tecnologie energetiche. Come il gas, il calore contenuto nel sottosuolo (geotermia) è una risorsa (l’Italia ne è ricchissima) cui non si può rinunciare.
Non si tratta di vietare, ma di disciplinare l’uso e di dettagliare le condizioni per l’applicazione delle tecnologie estrattive (ad esempio il rapporto con i centri abitati, le profondità raggiungibili, eccetera). Purtroppo, e sinora lo si è sottovalutato, il caso della geotermia richiama un altro problema enorme delle energie rinnovabili: il consumo del suolo e del sottosuolo (esauribilità fisica delle materie prime, minerali e metalli che servono a produrre energia dal vento e dal sole). Per produrre 100 Mw di potenza elettrica occorre lo spazio di un edificio normale per una turbina convenzionale, ma servono anche oltre 30 Kmq di terreno se si intende produrli con eolico o solare.
Ancora più problematico è il fabbisogno, per le rinnovabili, di materie prime da estrarre dal sottosuolo. Rapportato al fabbisogno di Gw di potenza elettrica da rinnovabili, ipotizzate per la decarbonizzazione entro il 2050, dovrebbero essere scavati (dato il rapporto tra miniere attuali e il fabbisogno) 50 milioni di Km di nuova superficie terrestre: uno sfruttamento delle profondità inedito nella storia dell’uomo.
Con quali effetti sugli ecosistemi locali? E questo senza considerare che la pressione da “Gw verde” fa già intravedere l’esaurimento, perfino prima del 2050, di minerali critici come rame, nickel, litio, cobalto e terre rare essenziali per la microelettronica (digitalizzazione) e gli impianti rinnovabili. Meno enfasi e più razionalità e scelte oculate, insomma, sulla transizione ecologica.
Cattivi scienziati