Non solo emissioni
Diminuire la CO2 non basta. Per il clima più tecnologia, meno ideologia
Quel che è successo in Germania conferma che il meteo impazzito è dovuto anche ai cambiamenti climatici. Ma più che tagliare emissioni con tasse e divieti, meglio farlo con le tecnologie: in ballo c'è l'economia europea
Ovviamente, il link tra il clima estremo e il global warming, reclamano gli scienziati del clima, appare stavolta unmistakable. Che il global warming spieghi (in parte) le precipitazioni estreme in centro Europa (concomitanti ad altri fenomeni estremi in Canada e Usa) è opinione diffusa tra gli esperti del clima: un maggiore tasso di umidità in atmosfera, una densità crescente delle nubi che trasportano una più grande quantità di pioggia, una maggiore concentrazione di tali nubi dense che si scaricano, con superiore intensità, su aree localizzate. Anche l’addensamento dei fenomeni in Europa sembra avere una spiegazione: i cambi climatici attenuerebbero, in giorni particolari, correnti di venti alti che, aleggiando tra i tropici e l’Artico, garantirebbero il maggior temperamento del clima europeo. Ma, attenzione alle risposte. A detta degli stessi climatisti sarebbe un errore, però, ricavare, dagli eventi estremi in centro Europa, solo l’indicazione ad elevare i tagli alle emissioni di CO2. La strategia della mitigazione (cambiare, attraverso i tagli alle emissioni, il clima al 2030) non deve entrare in conflitto con quella dell’adattamento (attrezzarsi a fronteggiare, da subito, le conseguenze, sulle cose e sulle persone, degli effetti estremi del clima).
Qui c’è un punto che la scienza climatica pone e che ai più sfugge: se il clima impazzito di oggi è (in parte) già dovuto alla quantità attuale di CO2 (400 ppm) tra i gas in aria, dovremmo rassegnarci. Tale quantità, infatti, resterà stabile e inamovibile per 100 anni. Le emissioni carboniche che ci si propone di tagliare, da oggi al 2030, non incideranno sullo stock di CO2 attuale, ma solo su quello futuro. Insomma, ai fenomeni meteo estremi e alla loro frequenza dovremo abituarci. Meglio, perciò, adattarsi: investire sulla resilienza e attrezzare ambiente e territorio a resistere ai fenomeni meteo estremi. I tagli alle emissioni, mantra dei politici europei, non sono dunque l’unica risposta al clima impazzito. Conta, insistono gli stessi scienziati del clima, rendere l’ambiente europeo – case, edifici, porte, spazi, reti, intere città – più resistente alle catastrofi climatiche. Per la resilienza (opere pubbliche, interventi di riassetto, infrastrutture, ristrutturazioni edilizie, rinforzamento dei corsi dei fiumi in prossimità di zone abitate, ecc.) andrebbero devolute risorse non di molto inferiori a quelle oggi immaginate per la mitigazione, al taglio delle emissioni.
Questa correzione del bilancio europeo sul clima – investimenti massicci per rinforzare l’ambiente e non solo tagli alle emissioni – è necessaria per affrontare un’altra possibile debolezza futura dell’Europa. L’ha messa in evidenza Romano Prodi: perseguire il primato nei tagli alle emissioni al 2030, può far perdere all’Europa quello della crescita e della competitività. Rispetto alle grandi aree concorrenti (Usa e Cina) che non taglieranno le emissioni nell’entità analoga all’Eurozona, il virtuosismo emissivo, senza adeguate contropartite e adeguamenti, finirà per caricare sulle imprese europee pesi e obblighi esorbitanti. Che eroderanno la competitività del continente, moltiplicheranno sacche di diseguaglianza e di vittime sociali della decarbonizzazione (gilet gialli). La transizione ecologica ha bisogno, insomma, in Europa, di un bagno di realismo, concretezza e responsabilità. Di meno visione palingenetica e di più attenzione ai conti, all’economia e alle priorità.
Dovremmo cercare di transitare al 2050, possibilmente senza un ambiente distrutto dai fenomeni estremi, senza l’economia in ginocchio e con un portafoglio energetico da area ricca e non di sottoconsumo. Più che tagliare emissioni con tasse e divieti, meglio farlo con le tecnologie. E con più razionalità sull’energia. Alcuni esempi: abbattere la CO2 non dovrebbe sopravanzare il contrasto all’inquinamento reale (gas nocivi, veleni, polveri e composti); l’industria dell’Oil&Gas, chiave di un’economia potente, andrebbe aiutata a decarbonizzare i suoi processi, con gradualità, e non liquidata; il 17 per cento di nucleare nel portafoglio elettrico europeo (ci evita 60 gigatonnellate di CO2 in atmosfera) andrebbe mantenuto, non cancellato; all’idrogeno si dovrebbe transitare producendolo, da subito, con ogni mezzo e non attendere che le fonti rinnovabili lo rendano meno costoso; catturare la CO2 alle fonti o in atmosfera non è meno ecologico che evocarne la sparizione con i divieti; indurre le imprese a decarbonizzarsi con la tecnologia è più razionale che farlo con le carbon tax che esse traslano sui prezzi ai consumatori. L’ecologia, se intende farsi governo, deve liberarsi da luoghi comuni, pesantezze ideologiche e pretese irrazionali.
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