CATTIVI SCIENZIATI
Quei soldi strappati alla scienza per finanziare le favole bio
L’Emilia-Romagna sovvenziona l’Università di Bologna sull’“agro omeopatia sistemica”. Un buco nell’acqua (e uno spreco)
Una mente aperta, scrive il professor Edzard Ernst, non deve esserlo tanto da lasciar cadere fuori il cervello. Lo dice in riferimento all’ennesimo, incredibile articolo pubblicato da una rivista scientifica di nessun impatto, dedicato a una nuova accozzaglia di termini che si vuole presentare come disciplina emergente: “l’agro omeopatia sistemica”. Questa locuzione, per chiunque non sia a digiuno di conoscenza scientifica, dovrebbe essere abbastanza per identificare una pseudoscienza; ma, come è naturale e come è ovvio per le leggi del marketing, in realtà non solo la maggioranza del pubblico non è in grado di riconoscere l’ovvia verità, ma addirittura può rimanere impressionato dal semplice suono dei termini utilizzati, dimenticando la lezione del povero Renzo, che non si lasciò abbindolare dal latinorum di Don Abbondio.
Ora, io non avrei dedicato una riga a una pubblicazione su un simile soggetto, nemmeno per mostrarne l’inconsistenza; ma il fatto è che non solo gli autori dell’articolo in questione sono italiani, ma provengono pure da una delle nostre università più prestigiose, quella di Bologna. “Italian researchers published”, scrive il professor Ernst; e chi è italiano e ricercatore, come il sottoscritto, non potrebbe essere maggiormente colpito dalla seguente conclusione del suo scritto: “Normalmente, quando incontro qualcosa di strano, non provato o incredibile, reagisco dicendo qualcosa del tipo: ‘Mostrami le prove’. In questo caso, penso che ogni tentativo di raccogliere prove potrebbe essere una perdita di tempo”.
Ora, io credo che valga la pena di scendere in un dettaglio un po’ maggiore. Gli autori, nel testo, lamentano l’inapplicabilità della materia medica di Hahnemann alla cura delle piante; le differenze sono troppe e l’approccio antropocentrico, consistente nell’equiparare i sintomi delle malattie delle piante a quello degli umani non funziona. Naturalmente, l’idea che il principio stesso di utilizzare soluzioni così diluite da non contenere principio attivo possa essere il problema è fuori discussione: qui siamo di fronte a ricercatori che credono nell’omeopatia – e uso il verbo credere a ragion veduta.
Si potrebbe ancora obiettare che, vivendo in una democrazia, la libertà di opinione e di espressione, fatto salvi certi limiti stabiliti dalla legge, è garantita; e certamente in questa libertà rientra anche il diritto di credere in qualsiasi sciocchezza si desideri, nonché di manifestare liberamente tale credo. Il problema è quando un credo assolutamente infondato dal punto di vista scientifico, viene invece finanziato a spese del pubblico con denaro destinato al finanziamento della ricerca scientifica.
Nel lavoro, è riportato quanto segue: “Thus, a three-year Rural Development Program (Psr, grant number 5004957) research project (“Highly diluted preparations for the defense of plants with a low environmental impact on agricultural systems”) was conducted and financed by the Department of Agriculture and Food, Hunting, and Fishing of the Emilia-Romagna region”.
Un’amministrazione regionale, dunque, ha finanziato un progetto di ricerca per la sperimentazione in campo di soluzioni omeopatiche. Spiego meglio: i soldi del contribuente dell’Emilia-Romagna sono stati dati all’Università di Bologna perché fosse sperimentata una procedura che si basa sul presupposto che le leggi della Fisica e della Chimica siano false. Per la precisione, il progetto Pad.Bio – Preparati ad alta diluizione per la difesa delle piante per sistemi agricoli a basso impatto ambientale – è stato finanziato con una delibera della Giunta regionale, per un importo complessivo di 66.705,50 euro; soldi che sono andati al dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell’Università di Bologna, per condurre una sperimentazione che fra l’altro ha portato a questo bel risultato, descritto nel lavoro citato: “E’ necessaria una rigorosa sperimentazione scientifica a livello di azienda agricola per convalidare tali risultati. Se i dati statistici delle prove di campo dovessero confermare le osservazioni fatte finora, l’approccio sistemico agro-omeopatico potrebbe rappresentare un modello produttivo agroecologico a bassissimo impatto energetico”. Guarda un po’, dopo tre anni in cui come è insito nelle premesse non si è ottenuta nessuna prova di alcunché (perché esperimenti veri, in cieco e conclusivi, avrebbero potuto dare un solo esito), ci si prepara a “continuare le ricerche”, presumibilmente ancora a spese del contribuente.
D’altra parte, il periodo è quello propizio: la nuova legge sul biologico, se approvata, permetterà a chiunque e molto più agevolmente del passato di chiedere soldi anche per progetti di ricerca sulla biodinamica, che possiamo considerare una variante di quanto descritto nell’articolo in questione, cioè agro-omeopatia con aggiunte esoteriche e astrologiche; non a caso, tutti gli autori del lavoro in questione sono anche sostenitori della biodinamica, e anzi sono già attivi nel settore.
Ognuno è libero di scrivere ciò che vuole, di esporre il proprio credo e persino di fare proseliti: ma l’Università di Bologna non ha niente da dire circa il fatto che un suo dipartimento che si presume debba essere solidamente ancorato alla scienza, accetti invece finanziamenti per condurre sperimentazioni dall’esito prevedibilissimo, allo stesso tempo in cui in altri dipartimenti si conducono esperienze di Chimica, Fisica, Biologia e altre discipline, che hanno successo proprio perché ricorrono a princìpi che dimostrano falsa la base dell’omeopatia, agraria o medica che sia?
Davvero la regione Emilia-Romagna non è a conoscenza del fatto che il denaro pubblico da destinare alla ricerca scientifica è un bene scarso e prezioso, e non va quindi sprecato nel finanziare progetti che di scientifico non hanno nulla, come affermato dal prof. Ernst, quando con fare brusco ma efficace scrive che “alcune cose sono semplicemente troppo idiote per metterle alla prova”? Davvero la regione Emilia-Romagna è nel dubbio che l’agro-omeopatia possa servire ad alcunché, tanto da finanziare queste prove?
Si vede che quella regione non ha bisogno di scienziati come Michele De Luca o Andrea Cossarizza, solo per citare alcuni illustri ricercatori che operano in quella terra e che conosco di persona; magari per il futuro si affiderà agli omeopati in ogni settore, agricoltura compresa.
Si vede che il Festival della Scienza medica di Bologna, frequentato da Nobel e da scienziati di tutto il mondo, presto organizzerà sessioni per spiegare al pubblico cosa è l’“holon” in agro-omeopati. Si vede che l’Italia non è un paese per ricercatori.