cattivi scienziati
L'evoluzione “buona” del Covid è fantasia: possiamo contare solo sui vaccini
Forse è ora di guardare in faccia la realtà: le nostre condizioni di sopravvivenza su questo pianeta dipendono dalla nostra capacità di fronteggiare i parassiti con le tecnologie a disposizione
Giunti alla fine delle vacanze, con il virus che, tutto sommato, è stato sin qui controllato decentemente dai vaccini nonostante la variante Delta, è ora di capire come potrà essere l’autunno, per essere, almeno mentalmente, preparati a quello che potrebbe succedere. Sono tempi strani, la cui predicibilità è inferiore al solito; per cui è meglio guardare il tutto un po’ dall’alto e un po’ da lontano, senza soffermarsi a tracciare scenari troppo dettagliati, perché il numero delle possibilità che differiscono nei dettagli è troppo elevato.
Cominciamo dalle buone notizie: questo autunno lo affronteremo con una popolazione vaccinata in alta percentuale. Chi parla male degli attuali vaccini, non si rende conto di alcune cose semplicissime: da una parte, il numero di infezioni, ospedalizzazioni e morti che abbiamo già evitato nei mesi passati, grazie ai vaccini – un risultato ormai acquisito – e dall’altra il fatto che i vaccini, anche nel futuro prossimo, continueranno a fare un ottimo lavoro, fosse anche solo diminuire l’entità delle infezioni, delle ospedalizzazioni e delle morti. Chi dichiara di non vaccinarsi perché non è sicuro dell’efficacia, sta facendo una predizione autoavverante: i vaccini attuali, quando sarà passato un tempo sufficiente, di sicuro non funzioneranno bene come ora, per la stessa ragione per cui gli antinfluenzali di tre anni fa non funzioneranno bene questo autunno. Perché, trascorso il tempo che certuni richiedono per “essere sicuri”, il virus cambierà; e allora bisognerà usare nuovi vaccini, e di nuovo costoro reclameranno più tempo per decidere, rinviando l’impossibile verifica a lungo termine di un vaccino che perde efficacia in un tempo più breve del tempo da loro richiesto per accettare la prova di efficacia.
Per fortuna, moltissimi italiani si sono vaccinati; tra costoro, il virus si è propagato in passato scarsissimamente, e oggi a causa della nuova variante un di più, ma sempre meno che se non fossero vaccinati; e quando si infettano lo stesso a causa di qualche non vaccinato, anche nel caso in cui non siano più giovanissimi la cosa si risolve rapidamente e senza danni, senza cioè arrivare se non in rarissimi casi in ospedale.
D’altra parte, a queste ottime notizie dobbiamo contrapporre la graduale perdita di efficacia dei vaccini in un tempo di sei mesi e l’emersione di una variante più infettiva e forse anche clinicamente più pericolosa (ma questo è da verificarsi meglio), nonché la distribuzione sbilanciatissima dei vaccini nel mondo, che crea una sorgente di nuove varietà grazie alla circolazione indisturbata del virus nei paesi non vaccinati, e poi la selezione in questo ampio bacino di varianti di quelle che possono aggirare vaccini, terapie e ogni nostra misura. Noi non eradicheremo questo virus, non nel breve periodo almeno, né possiamo contare su improbabili colpi di fortuna e virus rabboniti, come dimostra quanto sta accadendo, con varianti niente affatto “più buone” emerse in un anno, nonostante chi pronosticava senza prove o male interpretando fatti e teoria, un immaginario adattamento a noi favorevole del virus avvenuto già nella scorsa estate.
Piuttosto, dobbiamo prepararci a una lunga danza: nuove varianti, che contrasteremo con nuovi vaccini e (speriamo) i primi farmaci, ma che comunque provocheranno danni e richiederanno anche temporanei irrigidimenti e misure non farmacologiche; e periodi di calma, anche lunghi, in cui il virus sarà epidemiologicamente latente. E’ il ripetersi dell’eterno “dialogo darwiniano” tra noi e i nostri parassiti: nuovi ceppi emergono, e per fortuna, invece che in passato, non dobbiamo attendere che si formi l’immunità di popolazione con la sopravvivenza solo degli immunizzati dall’infezione, ma possiamo usare la tecnologia attuale per cercare di parare il colpo e limitare i danni. Poiché le pause in questo dialogo fra un ospite e i suoi parassiti possono assumere la lunghezza di generazioni, con l’apparente prevalenza della nostra parte, le nuove generazioni possono dimenticare i patogeni, per cui la loro esistenza è sconvolta quando qualcuno di essi riemerge in nuove forme più adattate (in senso darwiniano, non disneyano).
Forse è ora di guardare in faccia la realtà: non siamo gli unici su questo pianeta, né le altre specie esistono per noi, per cui la nostra sopravvivenza in buona salute e nelle migliori condizioni di libertà dipendono dalle nostre capacità di fronteggiare i parassiti con la nostra tecnologia, non dall’immaginare che nessuna infezione sia poi così grave o che le pandemie siano un’invenzione di altri. La musica a cui dovremo danzare, del resto, non la stabiliamo noi, ma la selezione darwiniana che agisce sui nostri parassiti.