Cattivi scienziati
Per dirsi davvero scientifico il dibattito deve stare alle regole del gioco
Perché il confronto di opinioni apparentemente scientifiche, se non rispetta certe regole di validazione, può tradursi in un veleno per la democrazia
Secondo un diffuso modo di pensare, chi fra i ricercatori e i tecnici rifiuta il confronto o chi asserisce che esso non è possibile in tutti i casi, starebbe di fatto attentando non solo e non tanto alla libertà di opinione, quanto direttamente al meccanismo che permette a uno stato democratico di funzionare; starebbe cioè auspicando forme di censura, per arrivare a un’unica opinione – quella di chi comanda – scoraggiando o eliminando ogni opinione avversa. Il confronto dovrebbe avvenire sempre, per consentire alle persone o ai rappresentanti eletti di giudicare la posizione migliore e quindi prendere decisioni di conseguenza; per questo, gli esperti dovrebbero accettare di confrontarsi con chiunque, difendere la propria posizione. Solo dopo questo vaglio le posizioni degli esperti dovrebbero avere valore, cioè solo se riescono a convincere il pubblico, a prescindere dalla competenza di questo.
Il rifiuto di una logica come quella che ho tentato di illustrare viene immediatamente percepito come arroganza, addirittura come voglia di censura e di dittatura, in opposizione alla libera circolazione del pensiero e alla formazione del consenso democratico; e proprio per questa ragione, ciarlatani e approfittatori di ogni genere utilizzano senza parsimonia questa argomentazione, sfidando di continuo i ricercatori al “pubblico confronto”, e suscitando la solidarietà delle piazze – fisiche e virtuali – di fronte alla sua asserita mancanza.
Vorrei, per l’ennesima volta, provare a spiegare con argomentazioni semplici perché il confronto di opinioni, tanto meno in pubblico, non è un bene in sé, ma può al contrario rivolgersi in una forma di veleno per il dibattito democratico, un veleno che è capace di impedire la scelta delle migliori soluzioni per il bene pubblico, anche quando muove le folle e fa salire audience e vendite.
Un confronto, in senso etimologico, significa “mettere di fronte” due posizioni diverse; ma perché sia produttivo, come si sa almeno dai millenni che sono trascorsi da quando la dialettica è stata studiata dai primi filosofi, sono necessari alcuni elementi. In particolare, le argomentazioni poste a paragone devono essere commensurabili su qualche caratteristica di nostro interesse; deve cioè esistere una metrica, su cui ci si è accordati, perché si possa giudicare dell’una e dell’altra riguardo un aspetto di nostro interesse. Se io, ad esempio, assistessi a una discussione fra chi sostiene che Raffaello fu un bravissimo artista e chi crede che le campanule siano composite, reputerei giustamente inutile presenziare, perché si tratta di posizioni prive di qualunque caratteristica che consenta di fare un confronto interessante. Dunque, un confronto deve avvenire sulla base della scelta di una o più caratteristiche che ci interessano, e sull’accordo circa una o più metriche da usare per pesare tali caratteristiche.
Se si intende condurre un dibattito scientifico, e si vuole che tale dibattito possa svolgersi, si sta con l’aggettivo “scientifico” scegliendo sia metriche che caratteristiche che il dibattito deve avere. Si stanno cioè scegliendo come metriche per pesare le varie posizioni la struttura logico-matematica e i dati a supporto dei vari argomenti, mentre la caratteristica che ci interessa è la capacità di un’argomentazione di funzionare da spiegazione scientifica, cioè da descrizione di ciò che è accaduto, di ciò che sta accadendo o di ciò che potrebbe accadere, messa a confronto con altre descrizioni dello stesso tipo sulla base della metrica che abbiamo appena visto.
Dire “il virus Sars-CoV-2 non è mai stato isolato dai tamponi”, come si ripete in certi ambienti e persino al Senato, significa rendere impossibile il dibattito scientifico che tutti auspicano, perché dimostra l’ignoranza di quei dati che si dovrebbero usare per pesare le affermazioni proprie e altrui. Affermare che la letalità di un virus in un anno è la metà di quella in un biennio, allo stesso modo, rende impraticabile quel dibattito, perché significa violare nella propria affermazione la definizione matematica di letalità. E’ la forma e la struttura degli argomenti utilizzati in un dibattito scientifico a renderlo possibile, non la presenza di posizioni diverse, proprio come le regole del gioco rendono possibile una partita di calcio, non la semplice presenza delle squadre e di una palla; e mettere a confronto tesi scientifiche (nel senso che abbiamo detto) con opinioni di altro tipo, non è dibattito democratico utile, ma semplice gara dialettica e teatro delle parole, ove a prevalere è la persona che più piace, invece dell’argomento più solido. Questo tipo di confronti impossibili, al contrario, è velenoso per la democrazia, perché confonde il pubblico, ne abbatte la capacità di distinguere una posizione sostenuta dai fatti da altre vacue, e infine rende impossibile agire, perché premette di sollevare infinite obiezioni, a meno che non subentri una figura così carismatica o così forte da prevalere nello spettacolo – un dittatore, ad esempio, con tutto il teatrale e retorico apparato di una dittatura.
Cattivi scienziati