cattivi scienziati
L'opportunità di un vaccino italiano contro attuali e future varianti
Esistono ancora in Italia diverse imprese che potrebbero costituire un patrimonio strategico per prepararci sia a quanto ancora avverrà con il Covid che alla comparsa di nuovi patogeni. I vantaggi della "via nazionale" nell'affrontare la pandemia
Mentre noi parliamo di Omicron come se fosse un’entità precisa, i virus appartenenti a quella sottopopolazione continuano ad accumulare mutazioni: nel mese di dicembre sono state identificate le ultime derivazioni evolutive derivate dagli isolati originali, e la vertiginosa crescita dei soggetti infettati non fa che accelerare l’emergere di nuovi esperimenti evolutivi. Anche la grande famiglia di Delta, cui appartiene ancora oggi il grosso delle sequenze isolate nel mondo, si continua a differenziare, con nuove varianti ulteriormente mutate che sono state dichiarate “varianti emergenti”, proprio in ragione dell’aumento della frequenza con cui si ritrovano.
Così come in passato per Delta si era parlato di “fitness di picco”, intendendo che il virus non sarebbe andato evolutivamente oltre, così oggi si tende a parlare di massimo raggiunto da Omicron, ignorando che la posizione dei picchi di fitness muta di continuo (per esempio a causa della competizione delle altre varianti, all’emergere dell’immunità di popolazione e alla cross-reattività immunologica fra varianti diversi) e che la raggiungibilità di un picco piuttosto di un altro dipende dal punto di partenza, cioè dal ceppo che si differenzia in nuove forme.
Sebbene, come già scritto anche su queste pagine, l’evoluzione della fitness è ragionevolmente vincolata superiormente, cioè a causa di vincoli strutturali e biologici di virus e ospite non si possa andare per ciascuna specie oltre certi adattamenti, dove sia questo massimo è impossibile determinarlo in anticipo, anche in considerazione del fatto che esso cambia di continuo, come abbiamo appena detto.
Per questo, è necessario abituarci all’idea che non possiamo semplicemente far circolare varianti, senza difenderci e sperando che si vada a una patogenicità tollerabile; lo scenario più probabile, almeno per ora, è che dei vaccini non si possa fare a meno per lungo tempo, se si vuole sperare di evitare almeno le conseguenze cliniche peggiori dell’infezione. A questo punto, è possibile identificare due opzioni – due possibilità di azione – per convivere con il coronavirus attraverso l’impiego di vaccini.
L’ideale sarebbe spingere per valutare al più presto vaccini pan-coronavirus in grado di bloccare meglio anche la circolazione delle attuali e di molte future varianti, diminuendo così non solo gli effetti clinici, ma anche la velocità di comparsa di nuove varianti. Questo, tuttavia, contrasta con l’interesse economico a produrre nuove versioni di vaccino per ogni variante o a continuare a vendere periodicamente nuove dosi degli stessi vaccini disponibili; ecco perché è necessaria un’azione politica, ove si voglia perseguire questa via. Non si tratta a mio giudizio di un traguardo impossibile, perché per esempio lo sviluppo pubblico di un tale vaccino pan-coronavirus potrebbe poi interessare a qualche azienda che si troverebbe in posizione di mercato avvantaggiata rispetto alla concorrenza; tuttavia, io non sono un esperto né di mercati né di economia, e quindi, pur sapendo quanto da un punto di vista epidemiologico questa opzione sarebbe conveniente, non sono in grado di valutare pienamente la sua fattibilità, pur avendo ovviamente la mia personale opinione in merito.
Nel caso questa prima via sia realisticamente impraticabile nel breve periodo, è necessario spingere al massimo i tassi di vaccinazione con ciò che abbiamo, perché la circolazione virale, come dimostra Omicron, potrà comunque essere molto sostenuta, in tutti quei casi in cui – come accade per l’influenza – si fallisca nella previsione del ceppo contro cui sviluppare una nuova versione del vaccino, oppure anche se si continui a utilizzare il vaccino attuale ripetendone la somministrazione e fidando sul solo effetto di protezione clinica. Circolazione virale alta, infatti, significa comunque stress per il sistema sanitario, a causa di una frazione variabile di un’ampia popolazione di infetti, che finisce comunque in ospedale; e tale stress può essere ridotto solo restringendo al massimo la popolazione dei clinicamente suscettibili attraverso il vaccino.
In entrambi gli scenari appena prospettati, sarebbe opportuno per l’Italia riconsiderare le proprie competenze e possibilità in termini di produzione degli ingredienti necessari alle formulazioni vaccinali, di produzione degli stessi vaccini e di finishing: esistono ancora nella nostra nazione diverse imprese, che potrebbero costituire un patrimonio strategico per prepararci sia a quanto avverrà con Sars-CoV-2 che alla comparsa di nuovi patogeni e di nuove pandemie. Quando potremo passare dagli investimenti promessi, in ritardo, di piccola entità, su piccole aziende singole selezionate per il “vaccino italico”, agli investimenti su un sistema coordinato di ricerca, sviluppo e produzione di vaccini, mettendo insieme i pezzi che abbiamo già?