“tachipirina e vigile attesa”
Sulle cure domiciliari aveva ragione Speranza e torto il Tar
Una sentenza del Consiglio di Stato ribalta la pronuncia: la prescrizione di farmaci non raccomandati dalle linee guida “non può fondarsi su un’opinione personale del medico o su suggestioni alimentate da disinformazione e sospetti"
No, il ministro della Salute Roberto Speranza non ha “impedito ai medici di curare i malati”, come titolava in prima pagina la Verità dopo la bocciatura da parte del Tar delle linee guida sulle terapie domiciliari per i pazienti Covid. Quella circolare del ministero della Salute, come scrivevamo sul Foglio del 19 gennaio, non limitava in alcun modo la libertà prescrittiva dei medici. A stabilirlo ora è la sentenza del Consiglio di Stato che ribalta la pronuncia del Tar Lazio e chiude definitivamente una storia giudiziaria nata quasi un anno fa.
Tutto iniziò con un’ordinanza del Tar Lazio che, nel marzo 2021, sospese la nota dell’Aifa con le indicazioni per la cura domiciliare dei pazienti Covid. Nel successivo mese di aprile questa ordinanza venne bocciata dal Consiglio di Stato che accolse il ricorso di Aifa e ministero della Salute. Già allora il Consiglio di Stato spiegava come “la nota Aifa non pregiudica l’autonomia dei medici nella prescrizione, in scienza e coscienza, della terapia ritenuta più opportuna”. Ma tutto venne messo nuovamente in discussione quando lo scorso gennaio il Tar del Lazio, accogliendo un ricorso presentato da un comitato, annullava una parte della circolare ministeriale perché “contrasta con la richiesta professionalità del medico e con la sua deontologia professionale, imponendo, anzi impedendo l’utilizzo di terapie da questi ultimi eventualmente ritenute idonee ed efficaci al contrasto con la malattia Covid-19”. A stretto giro però, un decreto monocratico del presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini sospendeva la sentenza del Tar Lazio ponendosi in linea con la precedente pronuncia.
Giovedì 10 febbraio, infine, la decisione definitiva che dà ragione, senza ombra di dubbio, al ministero della Salute. Come dicevamo, la sentenza si ribadisce ancora una volta come la circolare ministeriale si limiti a raccogliere “le indicazioni degli organismi internazionali, i pronunciamenti delle autorità regolatorie e gli orientamenti di buona pratica clinica asseverati dagli studi nazionali ed internazionali, al fine di fornire a tutti gli operatori interessati un quadro sinottico, aggiornato ed autorevole, di riferimento”. Non mancano richiami severi contro il Tar Lazio che ha “travisato la reale portata della circolare ministeriale e delle richiamate raccomandazioni dell’Aifa, che non contengono prescrizioni vincolanti per i medici e non hanno un effetto precettivo cogente”. La circolare infatti “non impone divieti o limitazioni all’utilizzo di farmaci, bensì si limita ad indicare, con raccomandazioni e linee di indirizzo basate sulle migliori evidenze di letteratura disponibili, i vari percorsi terapeutici”.
Come era evidente dalla lettura del dispositivo, sul Foglio avevamo definito “illogica” e “contraddittoria” la sentenza del Tar. Sono le stesse considerazioni ora espresse dal Consiglio di Stato nei confronti di una sentenza che “è pervenuta – in modo illogico e contraddittorio rispetto alla premessa del proprio ragionamento – all’opposta conclusione secondo cui il contenuto della nota ministeriale, imponendo ai medici puntuali e vincolanti prescrizioni scelte terapeutiche, si porrebbe in contrasto con l’attività professionale, così come demandata al medico nei termini indicata dalla scienza e dalla deontologia professionale”.
Quanto ai possibili risvolti sul piano giudiziario in caso di inosservanza delle raccomandazioni ministeriali, il Consiglio di Stato spiega come la stessa legge Gelli sulla responsabilità professionale preveda che “il medico si attenga ad esse, salvo la specificità del caso concreto”. Il singolo medico, nel prescrivere un farmaco, può discostarsi dalle linee guida senza incorrere in responsabilità, “purché esistano solide o, quantomeno, rassicuranti prove scientifiche di sicurezza ed efficacia del farmaco prescritto”. La prescrizione di farmaci non raccomandati dalle linee guida resta dunque possibile ma “non può fondarsi su un’opinione personale del medico, priva di basi scientifiche e di evidenze cliniche, o su suggestioni e improvvisazioni del momento, alimentati da disinformazione o, addirittura, da un atteggiamento di sospetto nei confronti delle cure ufficiali”. E questo perché, conclude il Consiglio di Stato, “la libertà della scienza non vuol dire anarchia del sapere applicato dal medico al paziente".
Insomma, quella su “tachipirina e vigile attesa” è stata una violenta polemica basata su un travisamento da parte del Tar su cui si è innestata una campagna mediatica mistificatoria sulla reale portata della circolare ministeriale e delle richiamate raccomandazioni dell’Aifa”.
Cattivi scienziati