cattivi scienziati
Inseguire Omicron con un vaccino ad hoc non conviene
Studi dimostrano che le dosi di richiamo per le singole varianti non sono vantaggiosi: è meglio una copertura ampia
Come sappiamo, le aziende farmaceutiche stanno cercando di ottenere vaccini a Rna disegnati contro la proteina Spike della variante Omicron. Ovviamente, questi prodotti nei paesi già vaccinati dovranno eventualmente servire per dosi di richiamo, vista la copertura attuale. E’ quindi interessante andare a esaminare quali siano i primi risultati ottenuti, seppure da studi su modelli animali. Sebbene si tratti di studi in preprint su piccoli gruppi di animali, abbiamo infatti ormai 4 studi con risultati concordi in specie diverse di mammiferi.
Il risultato, in breve, è il seguente: una singola dose di richiamo di vaccino specificamente indirizzato contro Omicron non produce risultati migliori di una dose di richiamo con i vaccini sin qui utilizzati, come sinteticamente riportato da Nature. Un primo studio ha esaminato la risposta immunitaria di otto macachi vaccinati con tre dosi, le prime due del vaccino Moderna attualmente in uso e una terza che corrispondeva o allo stesso vaccino o al vaccino ottimizzato contro Omicron. Dopo la terza dose, in entrambi i casi si è ottenuta una forte risposta neutralizzante contro tutte le varianti, almeno nel breve periodo, inclusa Omicron; in particolare, è risultato che certe specifiche popolazioni di linfociti B di memoria erano selettivamente espanse indipendentemente dal tipo di terza dose, e che queste popolazioni erano quelle particolarmente in grado di produrre anticorpi cross-reattivi contro tutte le varianti di Sars-CoV-2. Inoltre, esponendo gli animali trattati al virus Omicron, indipendentemente dal tipo di richiamo usato, si osservava la completa interruzione della replicazione virale entro due giorni. Sia in questo esperimento sia in quello che analizza le risposte dei linfociti B di memoria, il vaccino specifico per Omicron non ha mostrato vantaggi significativi rispetto all’originale. Anche nei topi si sono osservati risultati analoghi: dopo due dosi di vaccino a Rna attuale, una terza dose con lo stesso o con una versione ottimizzata per Omicron non differivano in maniera significativa per quel che riguarda i risultati ottenibili. Se invece si fosse usato fin dal principio il vaccino Omicron, i topi riuscivano a neutralizzare più potentemente Omicron, ma poco le altre varianti; e questo è confermato da un ulteriore e separato studio condotto sempre sui topi.
Un quarto studio ha studiato un vaccino “a Rna replicante”. In contrasto con i vaccini mRna ampiamente utilizzati, questo codifica sia un frammento del virus che un enzima per amplificare l’espressione di quel frammento. Gli scienziati hanno somministrato ai topi tre dosi del vaccino a Rna replicante: due dosi basate sul ceppo ancestrale Sars-CoV-2 seguite da un singolo booster specifico di Omicron. In questo caso, non si è osservata una buona risposta contro Omicron, contrariamente al caso in cui si è somministrata una dose di vaccino originario e due di vaccino Omicron.
Nell’insieme, questi quattro studi con vaccini diversi e su animali diversi sembrano indicare una cosa precisa: una singola dose di richiamo dei nuovi vaccini Omicron, almeno in preclinica, non conferisce nessun particolare vantaggio rispetto a ciò di cui disponiamo.
La terza dose, cioè, agisce amplificando e facendo probabilmente maturare popolazioni di cellule di memoria non particolarmente specifiche per Omicron, ma a spettro più ampio; essa non basta a redirigere più specificamente la risposta immune contro la variante che ha dominato l’ultima ondata. Per fortuna, la protezione clinica offerta da una terza dose di vaccino, come sappiamo, è ottima.
Naturalmente, studi su animali e di livello così preliminare debbono essere presi ancora con cautela, ma i risultati discussi spingono ancora una volta a concludere, come già specificato su queste pagine, che è sempre più urgente puntare sui vaccini pan-coronavirus, invece di inseguire singole varianti, se si intendono ottenere risultati migliori in termini di prevenzione delle infezioni attuali e in vista di eventuali perdite di protezione anche clinica a causa di ulteriori varianti immunoevasive.