cattivi scienziati
Perché la nuova sotto variante di Omicron non fa paura (per ora)
In Danimarca si sono esaminati i casi di reinfezione dopo essere già stati infettati, per capire il grado di protezione dal virus: i risultati sono rassicuranti
Come sempre, i dati scientifici in tempo di pandemia arrivano in maniera estremamente veloce, quasi in tempo reale. E così possiamo cominciare a dare una prima risposta a una domanda che, in questi tempi di informazione sui social, è immediatamente piovuta addosso, appena si è sparsa la voce dell’emersione in certi paesi di una seconda forma del ceppo Omicron – così diversa in termini di mutazioni che la si potrebbe paragonare a un’altra variante – la forma cosiddetta BA.2. Grazie a una efficientissima rete di tracciamento e sequenziamento attiva in Danimarca, si sono infatti potuti esaminare i casi di reinfezione dopo una precedente infezione, per sapere se BA.2 fosse così mutata al punto che una precedente infezione da Omicron BA.1 (la versione “tradizionale”, per così dire) risultasse poco protettiva, vanificando così le aspettative di avere un po’ di requie grazie all’ampia fetta di popolazione contagiata dall’ultima variante. I risultati, appena resi pubblici in un preprint, appaiono rassicuranti.
Sappiamo già che Omicron è in grado di reinfettare ampiamente chi è stato infetto da precedenti varianti, ma per fortuna, invece, chi è stato infettato da Omicron BA.1 appare decisamente protetto dall’infezione provocata da BA.2, almeno nel breve tempo di osservazione sin qui a disposizione per gli studiosi danesi (dal 21 novembre 2021 all’11 febbraio 2022). L’immunità naturale, quindi, appare cross-reattiva fra le differenti varietà di Omicron.
Nello specifico, su 1.739 casi di doppia positività, in cui la seconda positività si era verificata tra 20 e 60 giorni dopo la prima e in cui alla prima fosse seguito almeno un test negativo prima della reinfezione, sono stati trovati 47 casi di reinfezione Omicron BA.2 di soggetti precedentemente infettati da BA.1. Per la popolazione danese sufficientemente vaccinata nel periodo considerato (dall’età di 15 anni in su), solo in 3 casi su 24 si è osservata la reinfezione; tutti gli altri sono occorsi in individui non completamente vaccinati, a dimostrare il potere protettivo dell’immunità ibrida conferita dal vaccino anche nei soggetti comunque infettati da Omicron.
Inoltre, la reinfezione è risultata associata a una minore carica virale e soprattutto a una clinica lieve, paragonabile alla prima infezione da Omicron o più benigna; questo dato sembra rassicurare circa la protezione conferita dall’infezione originaria, mediata da cellule T e cellule di memoria.
L’insieme di questi dati, se sarà confermato, indica come, nonostante BA.2 risulti avere un vantaggio in termini di diffusione nella popolazione rispetto alla precedente variante Omicron, l’immunità naturale indotta da BA.1 è almeno inizialmente sufficientemente robusta da evitare la reinfezione (limitandone la diffusione); anche nei casi di reinfezione, in ogni caso, la clinica osservata è lieve. Se dunque nel tempo dovesse calare la protezione dall’infezione conferita da Omicron, come probabilmente avverrà, contrariamente al caso delle varianti precedenti, una precedente infezione da Omicron risulterà clinicamente protettiva nei confronti di una eventuale ripresa di Omicron BA.2; e vista l’ampia diffusione di Omicron BA.1 nella popolazione attuale, questa è senz’altro una notizia che allontana la ripresa immediata delle infezioni, rimandando il problema all’eventuale emersione di nuovi virus mutanti e dandoci un po’ di respiro.
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