cattivi scienziati
Una nuova tecnica di analisi del Dna dimostra che le nostre radici genetiche sono africane
Così la ricerca scientifica ci dimostra quanto siamo imparentati l'un l'altro, e come discendiamo tutti da poche linee antiche superstiti attraverso i millenni
In tutte le epoche e in tutte le culture si sono sviluppate teorie circa la propria derivazione da questo o quel gruppo di antenati remoti. Derivare dalla gens Iulia, e porre questa in relazione con Enea, è stato per esempio un motivo ricorrente di discussione fra gli antichi romani, ma anche successivamente; e lo stesso si può dire per molti illustri antenati, chiamati sia a rassicurare i viventi circa la propria derivazione da individui eccezionali, sia, più in generale, a vincere l’idea di un’origine dal nulla, ma anche la paura di essere dimenticati, perché il ricordo di antenati remoti è buon auspicio circa la propria sopravvivenza nella memori delle genti future.
È vero, spesso l’ossessione per la ricerca delle proprie origini nascondeva anche la voglia di giustificare le proprie pretese attraverso la discendenza da antenati mitologici o addirittura divini; ma, più umanamente, è l’idea di essere parte di una ininterrotta catena di individui con origini remote, delle quali si è mantenuta memoria, che in un certo qual senso è rassicurante circa il destino della nostra stessa immagine, attraverso il ricordo di una lunga e potenzialmente interminabile fila di discendenti. Questo tipo di idee e di percezioni ha accompagnato per millenni individui di ogni cultura nello sforzo di immaginare e trovare o inventare prove della propria continuità con determinati antenati; oggi, tuttavia, le tecniche di sequenziamento del Dna – quelle stesse di cui più o meno tutti abbiamo sentito parlare, perché sono capaci di ricostruire la genealogia del virus che da due anni ci perseguita – sono in grado di ricostruire su base molto più oggettiva, soprattutto quando incrociate con altre evidenze materiali, la nostra ascendenza anche remota.
Tuttavia, l’albero familiare di tutte le persone viventi e mai vissute su questo pianeta è di una complessità tale, che sebbene esso debba certamente esistere, visto il modo in cui ci riproduciamo, la sua ricostruzione è stata fino a questo momento un’impresa pressochè impossibile.
Grazie a nuove tecniche numeriche e di analisi statistica, oltre che all’uso intelligente dei genomi di diverse migliaia di individui attuali (sulle centinaia di migliaia disponibili) e di un piccolo numero di genomi antichi ritrovati da resti paleoantropologici (sulle migliaia di genomi disponibili), un gruppo di ricercatori ha descritto su Science la tecnica utile a creare l’albero genealogico universale della famiglia umana, in cui piazzare qualunque individuo mai vissuto e qualunque altro vivente o che vivrà, a patto che se ne conosca il genoma.
La storia, vista da questa prospettiva genealogica, non è più la storia di questo o quel condottiero, di questo o quel popolo, re, inventore o idea: è la storia di una sola, singola gigantesca famiglia, in cui tutti siamo parenti, ed in cui tutti hanno avuto un ruolo.
Così, i ricercatori hanno osservato come la radice del nostro albero sia in Africa, anche dal punto di vista genetico: dentro, siamo tutti africani, e tutti discendiamo da moltitudini di migranti che in epoche diverse hanno abbandonato la propria terra di origine, per arrivare in terre nuove, disabitate o già abitate, finendo con fondare nuovi popoli o mescolarsi a quelli preesistenti.
Lo sapevamo già, perché questa è la logica della storia stessa; ma oggi possiamo provarlo, e possiamo, per ognuno di noi, scoprire le radici comuni che hanno portato i nostri comuni antenati fuori dall’Africa, e se del caso in Oceania o in Asia, ritrovando negli scheletri che dissotterriamo qui o là non più semplicemente i resti di persone vissute prima di noi, ma parenti che ci accomunano a fette amplissime di altri abitanti di questo pianeta.
Possiamo vedere l’emergere della pelle bianca, degli occhi a mandorla o di altre caratteristiche nei gruppi cugini che colonizzarono il mondo; possiamo scoprire quanto ci è vicino Attila o l’ultimo imperatore Ming, e senza ricorrere più al mito di Troia e di Enea, possiamo sapere come e quanto ci siano imparentati i micenei o qualunque altra antica popolazione, per la quale disponiamo di informazioni genetiche.
Tutto questo può fare e fa la ricerca scientifica: dimostrarci, fatti alla mano, come e quanto siamo parenti, e come discendiamo tutti da poche linee antiche superstiti attraverso i millenni.
Questo è ciò che pensavo leggendo i dettagli tecnici dell’articolo su Science; ed intanto che il fascino di questi dati, e la bellezza della tecnica con cui sono stati utilizzati, mi dimostrava la grande famiglia della presente umanità, imparentata molto più di quanto non lo siano i coronavirus che ci stanno perseguitando, proprio mentre apprezzavo questo stretto legame di parentela con i più improbabili dei miei vicini o dei miei antenati, sentivo la minaccia di alcuni fra i componenti di questo albero, che come tutti, singolarmente, non ne costituisce che la cima più minuta dell’ultimo dei ramoscelli, minacciare di segare l’intera pianta con l’uso dell’arma nucleare.
La bellezza della conoscenza che siamo stati capaci di creare, a confronto di ciò che altra conoscenza ha costruito per mantenere alto il terrore, a costo dell’autodistruzione: viviamo ben strani momenti, in cui mai come prima possiamo vedere di esser tutti parenti, eppure come sempre continuiamo a desiderare di scannarci.
Cattivi scienziati