cattivi scienziati
Perché sulle diagnosi genetiche c'è ancora tanta strada da fare
I notevoli avanzamenti tecnici nel sequenzare gli embrioni preimpianto hanno fatto fiorire un mercato specifico. Che però è ancora vittima di bias di campionamento e di un'utilizzo discrezionale dei dati. Attenzione al marketing
Fino a tempi relativamente recenti, ottenere in maniera accurata l’informazione genomica pertinente ad embrioni umani era tecnicamente difficile, per il fatto che sequenziare con accuratezza il DNA da 1-2 cellule embrionali presentava un tasso di errore alto. Questo ha ristretto per molto tempo la diagnosi preimpianto di difetti genetici soprattutto all’identificazione di varianti di singoli geni, chiaramente legate al rischio di sviluppo di malattia; tuttavia, per la gran parte delle malattie umane non esistono singole mutazioni predisponenti, quanto piuttosto complesse interazioni fra varianti di più geni diversi, per cui una diagnosi prenatale basata sulla loro analisi era preclusa dalla difficoltà di ottenere sequenze complete e accurate del genoma completo di un embrione.
Recentemente, grazie a notevoli avanzamenti tecnici, è stato dimostrato che il sequenziamento di embrioni preimpianto è fattibile, il che ha aperto la strada alla selezione degli embrioni su una scala molto più vasta di quanto non fosse possibile in precedenza, basandosi sull’informazione ottenuta dal loro intero genoma. Questo, a sua volta, ha favorito l’emergere di un mercato specifico, in cui i consumatori – tipicamente rappresentati da una coppia interessata a controllare la predisposizione genetica allo sviluppo di malattie in un embrione da impiantare, ottenuto mediante fertilizzazione in vitro – sono direttamente oggetto di marketing da parte di aziende che propongono ogni sorta di test genetico per tranquillizzare i futuri genitori. Il mercato della fertilizzazione in vitro a scopo procreativo, infatti, è fiorente: globalmente valeva di circa 14 miliardi di dollari nel 2020 e si prevede che crescerà molto. Gli aspetti etici di una simile pratica di selezione su base genetica – oltretutto estesa anche oltre la previsione di rischio di malattia – non sono di mia competenza, e dunque non è su questo che intendo discutere; piuttosto, mi interessa richiamare l’attenzione del lettore sul fatto che i test genetici proposti sono ben lungi dall’essere basati su scienza solida.
Senza arrivare a discutere dei casi chiaramente fraudolenti – quelli in cui si danno informazioni basate su profili genetici di rischio non validati, se non su piccolissime popolazioni – è opportuno ricordare alcuni punti più generali, come fa un recentissimo editoriale su Nature. Il primo riguarda gli studi di genetica delle popolazioni, condotti su larga scala, che sono alla base dell’identificazione dei profili di rischio, poi utilizzati dalle aziende per offrire i propri servizi ai futuri genitori (ed in realtà anche a chiunque faccia sequenziare il proprio genoma e voglia queste informazioni). Il grosso di questi studi è condotto su popolazioni bianche, provenienti da paesi che vivono in condizioni relativamente floride. Il potere predittivo dei profili ottenuti, di conseguenza, risente di un forte bias di campionamento, perché l’effetto delle complesse interazioni genetiche che sono studiate quali fonte possibile di malattie dipende anche da fattori come l’etnicità e le condizioni di vita di un individuo. Un individuo che vive in Sicilia, per fare un esempio, avrà conseguenze cardiache presumibilmente diverse dal possedere un certo insieme di varianti genetiche, rispetto ad un norvegese, non fosse altro che per i differenti stili di vita; e questo varrà a maggior ragione se ci si confronta con un giapponese o con un nigeriano.
In aggiunta, la valutazione dei profili di rischio per malattie che si manifesteranno su intervalli di tempo lungo – poniamo certe forme di diabete – risente del fatto che, fra 30 o 50 anni, le condizioni di vita della popolazione potrebbero essere diverse da quelle in cui tali profili di rischio sono stati determinati; se pensiamo, per esempio, agli effetti culturali sulla nostra dieta (che ovviamente influenza il rischio di sviluppare diabete quanto e più dei nostri geni), risulta evidente la volatilità delle previsioni che si possono fare oggi. Anche per i motivi suddetti, l’identificazione dei profili di rischio da parte di studi diversi può essere relativamente incongruente, determinandosi a questo punto la dipendenza della valutazione finale delle aziende dal particolare database utilizzato (posto che le aziende non hanno interesse a eliminare gli studi discordanti, pur di fornire informazioni ai propri clienti). Forse prima di affidarsi al giudizio di un’azienda, di conseguenza, sarebbe il caso di essere certi della valutazione compiuta; e per questo, o si possiede la conoscenza sufficiente, oppure è il caso di non sostituirsi agli esperti, e di non comprare direttamente un servizio che non si è in grado di giudicare.