cattivi scienziati
Studiare il caso argentino come esempio di abuso della politica sulla comunità scientifica
Le autorità del paese sudamericano hanno "combattuto" per introdurre il vaccino Sputnik nel sistema sanitario, producendo studi pieni di errori. Ma anche da noi, con lo Spallanzani, si è visto qualcosa di altrettanto anomalo
Ricordate l’ultimo articolo sul vaccino Sputnik, quello che avrebbe dovuto dimostrare la sostanziale equivalenza fra quel prodotto e il vaccino di Astra Zeneca nel prevenire malattia e morte fra i vaccinati in Argentina?
Abbiamo già visto come la rivista che ha accettato quel lavoro, cioè Lancet, abbia per l’ennesima volta reso un pessimo servizio a Sputnik V, accettando di pubblicare un testo pieno di errori triviali, che non avrebbero mai dovuto passare la revisione di un qualunque giornale scientifico. Ad ulteriore complicazione della vicenda, alcuni colleghi argentini mi hanno comunicato un particolare non indifferente: l’autore corrispondente dello studio è il ministro per la salute dell’Argentina, la dottoressa Carla Vizzotti.
Ora, gli autori dichiarano per iscritto nel testo pubblicato di non avere alcun conflitto di interesse che possa influenzarli nel descrivere i risultati ottenuti con i vari prodotti utilizzati in Argentina; questo, tuttavia, è almeno opinabile, se fra gli autori vi è un membro del governo che si è speso fin da i primi giorni della pandemia per introdurre Sputnik V in Argentina. Per il governo del paese sudamericano, infatti, un eventuale fallimento del vaccino significherebbe anche un fallimento politico importante; basterebbe ad evidenziare questo fatto la continua polemica sostenuta con l’opposizione, che fin dall’inizio chiede ragione non tanto dell’accordo fatto con il fondo di investimenti russo RDIF, quanto del fatto che questo sia stato prospettato come unico possibile, a fronte di illecite volontà di ingerenza per esempio di Pfizer nella sanità pubblica argentina, salvo poi far marcia indietro quando i russi non hanno potuto fornire le dosi promesse e si è dovuti ricorrere anche agli altri produttori di vaccino.
A parte queste ovvie considerazioni generali, tuttavia, esistono evidenze più dirette di quanto il supporto dato dal governo argentino a Sputnik sia stato forte e ben al di là del suo significato in sanità pubblica. In una lettera scritta nel luglio 2021 da un’influente consulente del governo, la dottoressa Cecilia Nicolini, che ha in indirizzo anche il ministro della sanità Vizzotti, diretta ai massimi rappresentanti del fondo RDIF, leggiamo infatti: “Abbiamo sempre risposto facendo tutto il possibile perché Sputnik V fosse un grande successo, ma ci lasciate poche possibilità di continuare a combattere per voi e per questo progetto!”.
E per chiarire come le pubblicazioni scientifiche siano in realtà un ingranaggio del “progetto”, la Nicolini scrive pure nella stessa lettera: “Presto, un nuovo studio sarà pubblicato su una rivista peer-reviewed circa l’efficacia…”. Vediamo così rappresentato in maniera plastica l’abuso che la politica fa della ricerca scientifica e delle pubblicazioni ad essa connesse. Il ministero della sanità argentino si impegna a “combattere” in favore di Sputnik, e le pubblicazioni scientifiche sono armi in questa battaglia; e si impegna così tanto, che il ministro fa da autore corrispondente per un lavoro su quel vaccino, non importa se pieno di ridicoli errori.
Ora, a vedere ciò che è successo in Argentina, non possono non tornare alla mente certe dichiarazioni della politica nostrana, che premeva nel 2021 perché Sputnik fosse autorizzato, prodotto, almeno studiato in Italia; e non è possibile dimenticare il balletto dello Spallanzani, il quale di concerto con le dichiarazioni della politica si è fatto promotore pure esso del vaccino russo, e ha prodotto a sua volta uno strano studio comparativo, mai autorizzato da nessun comitato etico e molto problematico dal punto di vista metodologico.
Non può, cioè, non tornare alla mente il forte controllo della politica su uno dei maggiori istituti di ricerca sulle malattie infettive del nostro paese, politica che ha dettato la linea cofirmando con gli scienziati un protocollo di intesa con RDIF e Gamaleya, fatto salvo poi annullarlo con autonoma iniziativa – senza nemmeno più coinvolgere gli scienziati – allo scoppio della guerra in Ucraina, poco prima di insediare con un plebiscito un direttore generale quantomeno controverso, a guardare ciò che è stato pubblicato dai giornali in questa settimana. I guasti dell’interferenza della politica sulla ricerca scientifica sono fin troppo noti, per richiamarli qui; ed è ora che la comunità scientifica italiana prenda coraggio e chieda conto di certe imposizioni e di certi diktat, a cui non avrebbe dovuto sottostare.