cattivi scienziati
L'esperienza pandemica non ha ancora estinto le balle omeopatiche
Secondo uno studio recente non c'è alcuna differenza tra i rimedi omeopatici e il placebo. Ciononostante alcuni servizi sanitari come quello della Toscana continuano a vantarsi dell'integrazione tra medicina ufficiale e pseudo scienze alternative
Mentre si dibatte sul dilemma dello stanziamento di risorse – oltretutto a scapito del risanamento del debito pubblico – tra le diverse voci che compongono il bilancio dello stato, e per esempio ci si interroga sulla opportunità di aumentare la spesa militare, si fa spesso osservare come altre voci di spesa – ricerca, sanità e formazione in primis – siano invece sempre compresse, oppure mai portate a livelli corrispondenti a quelli che di un paese moderno e dal pil pari a quello della nostra nazione sarebbe lecito aspettarsi. In queste condizioni, uno crederebbe che, viste guerre, epidemie, emergenza ambientale e problemi incombenti vari, sia fuori discussione dedicare anche un solo euro pubblico a finanziare scempiaggini pseudoscientifiche. Al contrario, invece, sembra proprio che di fronte a problemi serissimi, la fuga dalla realtà e il rifugio nel pensiero magico siano una costante; se ricordiamo le splendide pagine del Manzoni, ma pure quelle lasciateci dal padre di Giacomo Leopardi, o persino quelle riferite alla peste di Atene, potremo notare sempre e comunque l’emersione dell’irrazionale proprio quando esso è più dannoso e meno si vorrebbe indulgere a esso.
I due anni di pandemia, in questo senso, non fanno eccezione. Abbiamo avuto modo di ricordare più volte le follie connesse a una particolare forma di pensiero magico, quello omeopatico: da stati interi che hanno consigliato, in assenza ovviamente di qualunque fondamento, il suo uso, salvo poi essere costretti a una parziale retromarcia, sulla scorta delle pressioni della locale comunità scientifica, fino alle più strane invenzioni come l’elettro-omeopatia per fronteggiare il virus, con l’ovvio e sempiterno obiettivo, alla fine, di raggranellare soldi.
Eppure, quando gli omeopati si decidono a testare le loro baggianate per prevenire o curare Sars-CoV-2 (come in moltissimi altri casi), la natura, interrogata, risponde sempre nello stesso modo: l’omeopatia non funziona.
I risultati di quello che, a dire dei suoi autori, è l’unico studio controllato in doppio cieco per verificare l’efficacia di un rimedio omeopatico – pomposamente chiamato Natrium muriaticum, ovvero sale da cucina omeopatico – sono stati recentemente pubblicati: guarda caso, la differenza fra placebo e omeopatia è risultata assolutamente nulla. Non è che da questo si possa dire che l’omeopatia è sempre priva di effetti: semplicemente è un placebo, e i placebo non sono necessariamente e sempre inutili. Il problema è che trattasi non solo di un placebo particolarmente costoso, ma soprattutto – e questo è il punto più importante – di un placebo la cui somministrazione si accompagna all’imbonimento del paziente con una notevole congerie di fole antiscientifiche, pseudoscientifiche o, in qualche caso, francamente truffaldine. Questo avvelenamento cognitivo è il vero, pericolosissimo effetto collaterale che si ottiene quando medici e persone autorevoli convincono pazienti, loro famiglie o pubblico in generale della bontà di certe panzane: pericolosissimo perché, una volta accettato, esso funziona da rinforzo o anche da innesco per il rifiuto della visione scientifica del mondo.
Sostenere, infatti, che l’omeopatia funzioni su certe basi ben specifiche – ultradiluizione, succussione, quando non “energizzazione” – significa sostanzialmente sostenere che la scienza moderna sia falsa; questo, naturalmente, è sempre possibile, ma solo sulla base di evidenze sperimentali e di una teoria altrettanto potenti di quelle della chimica e della fisica attuali. Anche se chi accetta l’omeopatia non è sempre consapevole di questo contrasto, e anzi viene spinto a credere che l’omeopatia integri, non sostituisca, la medicina basata sulle evidenze, se ne indebolisce comunque la capacità di discernimento di ciò che è fondato su conoscenza più o meno solida da ciò che è fondato su racconti affabulatori, mille volte dimostratisi falsi – non appena li si esamini con il metodo sperimentale, utilizzando statistiche robuste come nell’esempio citato.
Ed ecco perché leggere che “nel corso di questi anni la progressiva integrazione delle medicine complementari (Mc) nel Servizio sanitario toscano ha incentivato nella popolazione l’utilizzo della medicina omeopatica” vantato come risultato positivo, non può che far dubitare del secolo in cui viviamo: quanto indietro dobbiamo ancora arretrare, prima di riscoprire l’uso delle sanguisughe nel sistema sanitario pubblico?
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