(Foto di Ansa) 

Cattivi Scienziati

La foto del buco nero che racconta i tempi straordinari in cui ci è capitato di vivere

Enrico Bucci

La scienza, grazie a democrazia, libero mercato, collaborazione planetaria e alfabetizzazione scientifica, continua a renderci spettatori di incredibili scoperte. Eppure fatichiamo a comprendere a fondo la bellezza e la portata di queste notizie

In questi giorni, i quotidiani sono pieni di titoli ed articoli riferiti all’ottenimento di un’immagine del buco nero super massivo che siede al centro della nostra galassia, nella direzione della costellazione del Sagittario e che per questo prende il nome di Sagittario A*. Ecco quindi tre riflessioni, che spero possano essere di qualche interesse ed aiuto al lettore per comprendere appieno i tempi straordinari in cui ci è capitato di vivere. Vorrei cominciare innanzitutto dal considerare i formidabili problemi che la tecnologia usata per “fotografare i buchi neri” – orribile semplificazione che non corrisponde alla realtà – ha dovuto superare per arrivare al risultato odierno.

    

Al centro della nostra galassia, la regione circostante il buco nero Sagittario A* non può essere osservata con un normale telescopio: è infatti nascosta da polveri, gas e stelle che si trovano lungo il disco galattico in cui risiede il nostro pianeta. Questi ostacoli possono essere superati utilizzando onde radio in grado di attraversarli, visto che i gas e le polveri catturate dai mostruosi campi gravitazionali generati da Sagittarius A* emettono forti quantità di energia, anche alle radiofrequenze, quando sono in prossimità dell’orizzonte degli eventi del buco nero, prima di precipitarvi dentro. Tuttavia, un buco nero, per quanto grande, è un oggetto da noi lontanissimo – 26.000 anni luce nel caso di Sagittarius A*: per poterlo discernere è necessaria una risoluzione sufficiente dello strumento usato per osservare. Più piccolo è l’oggetto da osservare, più grande è la risoluzione richiesta e maggiore è il diametro dello strumento di osservazione necessario, sia esso un telescopio ottico o l’antenna di un radiotelescopio: osservare Sagittarius A* con un singolo radiotelescopio richiederebbe antenne paraboliche con il diametro di chilometri, un’impresa proibitiva.

   

Una tecnica chiamata interferometria, per nostra fortuna, consente di combinare i segnali provenienti da antenne diverse, ottenendo i risultati che si avrebbero con singole antenne di dimensioni chilometriche, ottenendo quindi così la risoluzione necessaria ad osservare oggetti come Sagittarius A*. La cosa non è però semplice: si richiede di combinare e sincronizzare in maniera utile i segnali provenienti da antenne di disegno diverso, evitando perdite in trasmissione e trattando gigantesche quantità di dati, per non parlare dell’applicazione di tutte le correzioni necessarie e dell’amplificazione di segnali piccolissimi, provenienti dallo spazio remoto. L’immagine che vediamo su tutti i giornali in questi giorni, quindi, è il risultato di un enorme sforzo tecnologico, nonché della combinazione di conoscenze scientifiche e di strumenti statistico matematici avanzatissimi che ha portato ad un singolo risultato: la conferma di quanto già si era potuto dimostrare, cioè la presenza di un buco nero di circa 4 milioni di masse solari al centro della nostra galassia, insieme all’osservazione delle sue evoluzioni – nell’arco di minuti – e della sua rotazione in senso antiorario, su un asse rivolto circa verso di noi.

 

Gli scienziati sapevano cosa avrebbero trovato, perché l’applicazione della teoria di Einstein e di alcune misure ricavate dalla rotazione delle stelle attorno al buco nero avevano già raccontato tutto: ma ottenere in una sola immagine la conferma insieme del funzionamento delle incredibili tecnologie necessarie e della precisione delle nostre teorie scientifiche è un risultato spettacolare, che va molto oltre l’anello colorato riportato sui giornali. Seconda considerazione: quel che stiamo misurando e rendendo chiaro ai nostri occhi è il passato. Circa allo stesso tempo in cui i nostri antenati costruivano accampamenti con pelli e zanne di mammuth in quello che è il più antico insediamento stabile oggi conosciuto a Dolní Věstonice, si realizzavano nei dintorni di Sagittarius A* quegli eventi che oggi riusciamo a discernere, dopo che l’informazione corrispondente ha viaggiato fino a noi alla velocità della luce per 26.000 anni. Se invece di guardare il centro della galassia osservassimo il nostro pianeta 26.000 anni fa, potremmo mai immaginare che un segnale radio debolissimo, la cui interpretazione dipende dalla fisica moderna e dal suo armamentario matematico, avrebbe potuto essere rilevato e avrebbe significato qualcosa per i rappresentanti della nostra specie?

 

Ed ecco quindi la considerazione finale. L’incredibile circostanza realizzatasi, per cui siamo spettatori del fatto che scienza e tecnologia moderne ci permettono di discernere qualcosa accaduto a 2.46e+17 km da noi, 26.000 anni fa, nei dintorni di un oggetto che non è possibile osservare direttamente e dove l’universo smette di comportarsi come siamo abituati a pensare, dipende da democrazia, libero mercato, collaborazione planetaria, risorse da investire e alfabetizzazione scientifica. Non si tratta però di condizioni necessariamente stabili e durature, ma al contrario di fragili parentesi nella storia dell’umanità: noi stessi, con guerre, devastazione climatica e ambientale, ignoranza dilagante, stiamo rendendo possibile un futuro in cui di buchi neri, radio interferenza e, in definitiva, di tutta questa incredibile bellezza acquisita per mezzo della scienza, ma anche dell’arte e della cultura, non resterà nulla. Forse, in nome di questa bellezza, dovremmo davvero tutti mobilitarci, invece di restare in balia dell’ultimo tweet di un influencer qualunque.

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