Cattivi scienziati
L'ennesima bufala sul Covid: i vaccinati si infettano di più
L'ultimo rifugio dei No vax: dire che ci siano ormai le prove di una “efficacia negativa” dei vaccini. Questa fake news è legata a una serie di lavori pubblicati o ancora sotto forma di preprint, nei quali però c'è una distorsione
Nonostante i disinteressati e instancabili tentativi di correzione per mezzo di dati ed analisi solide messi in atto da persone come il dottor Alessandro Vitale, professore associato di chirurgia generale presso l’Università degli Studi di Padova, in questo ultimo periodo un’ennesima bufala è insistentemente alimentata dalla mescolanza di dotti confusionismi, diffamazione degli interlocutori e analisi che non stanno in piedi. La bufala, ultimo rifugio degli antivaccinisti più arrabbiati e probabilmente prodotta per il loro proprio autoconsumo, consiste nell’affermare che vi sia ormai solida evidenza di una “efficacia negativa”, ossimoro recentemente inventato per indicare la presunta tendenza delle persone vaccinate (o di certi sottogruppi fra queste) ad infettarsi di più della corrispondente popolazione non vaccinata.
Questa bufala appare particolarmente legata ad una serie di lavori pubblicati o ancora sotto forma di preprint, in cui si osserva come la differenza fra la percentuale di persone che si infettano dopo il vaccino e quelle che si infettano senza vaccino, al trascorrere del tempo dall’ultima dose, diventi negativa; si osservano cioè, nelle stime, più infezioni in proporzione fra i vaccinati che fra i non vaccinati. Vi è per esempio un lavoro pubblicato su Lancet da un gruppo svedese, così come un preprint di un gruppo danese; sulla scorta del tipo di semplice analisi presentata in questo tipo di lavori, ovunque nel mondo le locali individui “diversamente vaccinisti” si sono affrettati a passare al setaccio le tabelle di incidenza delle infezioni nelle varie fasce di popolazione, fornite dalle autorità sanitarie nazionali, per concludere con pensosa perplessità, quando non con malcelata soddisfazione, che vi sarebbe ormai la prova della ossimorica “efficacia negativa”.
Bene; cercando di dare una mano ai medici e ai dottori come l’ottimo Alessandro Vitale, vale la pena innanzitutto rivolgere la propria attenzione ai lavori che hanno dato origine a questo flusso di numerologia antivaccinista, per vedere se l’approccio utilizzato dai ricercatori per stimare la perdita di protezione dall’infezione possa essere estesa anche a dimostrare addirittura il subentro di un danno, una volta trascorso sufficiente tempo. A spiegarci come stanno le cose provvede proprio il primo autore di uno degli studi citati, il danese Christian Holm Hansen, statistico medico ed epidemiologo dello Statens Serum Institut: “La ricerca mostra risultati preliminari dei primi 20 giorni di Omicron in Danimarca. Il fatto che la VE stimata sia negativa durante l'ultimo periodo suggerisce che vi è una distorsione nel confronto tra la popolazione vaccinata e quella non vaccinata. Abbiamo reso chiaro questo punto nella discussione. Se una stima dello studio è distorta significa che sta misurando qualcosa di diverso da ciò che era previsto. La stima di VE può essere distorta se i tassi di infezione nelle popolazioni vaccinate e non vaccinate sono influenzati da effetti diversi dalla vaccinazione. Tali distorsioni sono abbastanza comuni nella stima VE da studi osservazionali basati su dati di popolazione (a differenza di uno studio randomizzato di fase 3 che è il gold standard)”.
Notare bene le parole usate: una stima negativa dell’efficacia, come correttamente nota il dott. Hansen, implica una distorsione nello studio, e non – come vorrebbero disperatamente i diversamente vaccinisti – maggior rischio per chi è vaccinato. E cosa può distorcere la stima di efficacia in uno studio osservazionale o nell’utilizzo diretto dei dati di incidenza fra vaccinati e non vaccinati ricavabili dalle varie autorità sanitarie nazionali? Lo stesso Hansen provvede a fornire alcune risposte, che qui riassumo. In molti paesi gli individui vaccinati si testano più frequentemente, il che porta in proporzione alla scoperta di più casi fra questi; per la Danimarca, trattandosi dell’inizio dell’ondata di Omicron, i casi di infezione si osservano soprattutto tra viaggiatori internazionali, per i quali la vaccinazione era obbligatoria, aumentando ancora la sproporzione; il comportamento di esposizione al rischio dei vaccinati e dei non vaccinati è diverso e causa quindi differenze di tasso di infezione fra i due gruppi indipendenti dall’efficacia del vaccino che sono sufficienti a spiegare le stime negative di efficacia.
A questa selezione di fattori confondenti identificati da Hansen, possiamo aggiungere ancora qualche elemento, uno soprattutto: in Italia noi non abbiamo nessuna idea reale del numero di soggetti infettati fra i vaccinati e i non vaccinati, perché non effettuiamo un campionamento statistico della popolazione. Potremmo avere moltissime infezioni asintomatiche non rilevate, sia nella popolazione dei vaccinati che in quella dei non vaccinati: questo preclude qualsiasi analisi retrospettiva, in assenza di un campionamento sistematico e periodico della popolazione studiata mediante PCR, e rende qualunque stima di efficacia vaccinale che sia basata su dati osservazionali non controllati da questo punto di vista del tutto arbitraria. Non ho speranza di cambiare l’opinione di chi ne aveva già una ben salda, e ha cercato conferme; nemmeno credo che muoverò di una virgola la discussione dei dotti affabulatori che supportano certe sciocchezze, ed anzi mi attendo qualche ulteriore giravolta ed insulto. Per chi però si sente confuso dal rumore antivaccinista, userò le parole di Hansen, come abbiamo visto uno dei ricercatori il cui lavoro è citato per sostenere la alla dell’efficacia negativa: “Ogni interpretazione che la nostra ricerca sia la prova di tutt'altro che un effetto protettivo del vaccino è falsa.”