Senza controllo della comunità scientifica, ciò che pubblicano le riviste è solo marketing
Cosa ci dice della stampa scientifica la nota di errore pubblicata da Lancet per un articolo sul vaccino Sputnik
Ecosì, per l’ennesima volta – la quarta – Lancet pubblica una nota di errore per un articolo sul vaccino Sputnik, di cui a suo tempo avevo segnalato i numerosi problemi.
Credo possa essere interessante riportare qui la traduzione integrale della nota di errore: “In questo articolo, la prima frase del sommario e la prima frase della sezione dei risultati va corretta in “358 431 (27,9 per cento) nell’analisi di ChAdOx1 nCoV-19”. Nella tabella 1, sono stati modificati la percentuale di casi di rAd26-rAd5 fra i maschi di età compresa tra 60 e 69 anni; i casi rAd26-rAd5 di 60–69 anni, 70–79 anni e ≥80 anni con COVID-19 confermato mediante RT-PCR prima del periodo di studio; i casi ChAdOx1 nCoV-19 di 60–69 anni e BBIBP-CorV di 60–69 anni che sono morti; i casi BBIBP-CorV di età compresa tra 70 e 79 anni vaccinati con una dose; i controlli BBIBP-CorV di 60–69 anni, 70–79 anni e ≥80 anni vaccinati con una dose; e i controlli BBIBP-CorV di età compresa tra 60 e 69 anni e ≥80 anni vaccinati con due dosi. Il numero di controlli ChAdOx1 nCoV-19 di ≥80 anni vaccinati con due dosi è stato corretto a 13 496/62 427. Anche l’appendice è stata corretta. Queste correzioni sono state apportate alla versione online a partire dal 9 giugno 2022”.
Ora, questa scarna comunicazione di errore e correzione ci dice alcune cose, ma più ancora non ne dice molte altre, che sarebbero indispensabili.
Ci dice innanzitutto che tutto l’articolo originale, come da segnalazione, era affetto da errori marchiani: si correggono i dati in 12 diverse collocazioni nel testo principale, e si corregge la figura duplicata nell’appendice. Tutto ciò significa una sola cosa: che il testo originale non aveva passato alcuna revisione che abbia significato, e che Lancet, quindi, è recidiva nel continuare ad accettare a occhi chiusi qualunque immondizia riguardi il vaccino Sputnik, anche quando, come abbiamo più volte sostenuto, ci sarebbe ben modo di ottenere risultati utili e significativi per quel prodotto. Peraltro, come è stile di Lancet, il fatto che l’articolo originale sia errato non è nemmeno opportunamente segnalato, come vorrebbero le linee guida in materia, che richiedono una evidenziazione prominente in caso di correzioni o altre modifiche.
Ma la cosa peggiore è un’altra: nonostante le correzioni apportate certifichino i problemi originali, fatto salvo il conflitto di interesse di taluni fra gli autori, la rivista continua, ostinatamente, ad accettare che gli autori di questo e di altri lavori su Sputnik possano sostanzialmente dilazionare all’infinito o negare l’accesso ai dati originali, nella loro interezza.
Ora, questo avviene a valle della pubblicazione dell’elenco di sciocchezze oggi corretto, a dimostrazione che nemmeno i revisori del lavoro hanno a suo tempo controllato quei dati; e proprio per questo motivo la politica della rivista appare inaccettabile.
Ci troviamo quindi nella seguente situazione: sappiamo che l’articolo originale pubblicato da Lancet era certamente pieno di errori, perché, per fortuna, erano errori di un tipo tale da rendere inconsistenti i dati presentati. Per quello che riguarda la forma attuale del lavoro, però, non siamo in grado di pronunciarci sul fatto che sia solido: sappiamo solo che gli errori evidenti non ci sono più, ma non abbiamo nessuna giustificazione né per quel che riguarda l’origine di quegli errori, né per quel che riguarda l’attuale corrispondenza tra quanto pubblicato e i dati realmente raccolti sul campo.
Chi nega la possibilità di questo controllo, ovvero la rivista, sta negando la radice stessa della procedura scientifica, frapponendosi fra gli autori e il resto della comunità dei ricercatori: cosa facciamo, torniamo al prescientifico “ipse dixit”, nella sua moderna versione “ipse impressit”?
Oppure, forse, la soluzione che andrebbe considerata è un’altra: tutto ciò che venga pubblicato, da Lancet o da qualunque altra rivista, senza che la comunità scientifica abbia la possibilità di controllare a fondo, non è scienza, ma marketing scientifico pubblicato sulle patinate pagine di quelli che furono giornali scientifici.
Cattivi scienziati