Il Foglio del weekend
La terra non basta più. La corsa all'immensità dello spazio
Le immagini del telescopio Webb ci catturano. Ma qual è il piano per rimettere piede sulla Luna? Tra Agenzia spaziale europea, America e Cina, ecco tutte le meraviglie della Space Economy
Un tempo per andare alla scoperta delle frontiere inesplorate gli uomini costruivano caravelle per sfidare gli oceani. Secoli dopo fu la volta delle macchine volanti, poi delle capsule con cui uscire dai confini dell’atmosfera. Adesso che l’obiettivo è diventato quello di rendere addirittura multiplanetaria la specie umana, l’avventura è cominciata spedendo nello spazio una scatola delle dimensioni di un comune forno a microonde.
Il 28 giugno un razzo decollato dalla Nuova Zelanda ha lanciato la minisonda in un viaggio che la porterà a novembre a posizionarsi in un’ampia e inedita orbita intorno alla Luna. Si tratta di una missione spaziale iniziata con poca enfasi, quasi ignorata da un mondo alle prese con problemi assai più terrestri: guerre, inflazione, una lunga pandemia, drammatici effetti del cambiamento climatico. Eppure la sonda Capstone è l’apripista di un’impresa che promette di cambiare la storia dell’umanità e che avrà come prossime tappe la colonizzazione permanente della Luna e il grande salto verso Marte, per dare alle donne e agli uomini di una Terra piena di problemi la possibilità di “allargarsi” ad altri corpi celesti del sistema solare.
La sonda Capstone, commissionata dalla Nasa, è stata realizzata da Advanced Space: poco più di una startup con 45 dipendenti
Dopo qualche decennio di crisi e ripensamenti, lo spazio è di nuovo tornato ad attirare l’attenzione. Stavolta non è più un ambito alla portata solo di giganteschi progetti governativi, spesso intrapresi con un occhio più all’egemonia sulla Terra che non all’interesse scientifico e al desiderio di esplorare. I protagonisti adesso sono pubblici e privati insieme, di molte nazionalità diverse. Sarebbe ingenuo pensare che abbiano in mente solo la scienza: la nuova corsa al cielo è alimentata anche dalla nascita in questi anni del gigantesco mercato di quella che è stata battezzata Space Economy. Secondo le ultime stime di Euroconsult, una società di marketing intelligence che da anni studia l’industria spaziale, l’intero settore nel 2021 ha raggiunto il valore globale di 370 miliardi di dollari e crescerà del 74 per cento entro il 2030, per diventare una realtà da 642 miliardi. Un boom che alimenterà un ampio indotto, incluso un ecosistema di logistica spaziale che per Euroconsult in un decennio varrà 4,4 miliardi di dollari e vedrà una cinquantina di aziende protagoniste in ogni parte del mondo.
Capstone è un esempio delle caratteristiche di questa nuova corsa allo spazio. A commissionarla è stata la Nasa, che continua ad avere un ruolo centrale anche nell’epoca della Space Economy, ma la piccola sonda che assomiglia a un microonde è stata realizzata da una società privata del Colorado, Advanced Space, che è poco più di una startup, con 45 dipendenti che lavorano in un capannone industriale alle porte di Denver. Anche il razzo per il lancio non è stato costruito dal governo americano, bensì da un contractor neozelandese, Rocket Lab, che lo ha sparato oltre l’atmosfera non dalle storiche rampe del Kennedy Space Center a Cape Canaveral, bensì da un poligono sulla North Island dell’arcipelago dell’Oceania. Il tutto a prezzi di saldo per la Nasa: 20 milioni di dollari per la sonda e 10 milioni per il razzo. Cifre impensabili solo pochi anni fa, all’epoca delle missioni miliardarie degli Space Shuttle.
Capstone è l’avanguardia del programma Artemis, con il quale la Nasa programma il ritorno sulla Luna – stavolta per restarci in pianta stabile – in un momento in cui anche Cina, Corea del sud, Israele, India, Agenzia spaziale europea e Russia stanno sviluppando progetti che puntano al nostro satellite. Nello stesso tempo sempre la Nasa, stavolta affiancata da SpaceX, la società di Elon Musk che è diventata il partner principale dei programmi spaziali del governo americano, lavora alla prima missione con astronauti su Marte: un obiettivo ormai passato dalla fantascienza alla realizzazione pratica.
Gli uomini tornano quindi a guardare al cielo e alle stelle, con i quali c’è sempre stato un rapporto complicato. Il sogno mitologico di Icaro e quello visionario di Leonardo da Vinci sono cominciati a diventare realtà all’inizio del secolo scorso su una spiaggia degli Outer Banks, in North Carolina. Il 17 dicembre 1903 i fratelli Wright riuscirono a realizzare il primo volo motorizzato nella storia: durò solo 37 metri, ma cambiò il mondo e scatenò la corsa alla conquista del cielo. Meno di un quarto di secolo dopo, fu la volta di Charles Lindbergh a stupire l’umanità, volando in solitaria nel 1927 da New York a Parigi e coprendo 5.800 chilometri in 33 ore e mezzo.
Il primo allunaggio previsto dalla Nasa è in teoria vicinissimo, visto che la data indicata dall’agenzia è il 2025. Ma sembra un obiettivo troppo ambizioso
Il volo divenne un’esperienza alla portata di tutti, ma gli uomini lo trasformarono ben presto anche in un’ulteriore arma, dai duelli nei cieli della Prima guerra mondiale ai bombardamenti a tappeto della Seconda, culminati nello sgancio dal cielo sul Giappone delle prime due bombe atomiche della storia. La Guerra fredda rese lo spazio la nuova frontiera, da conquistare però soprattutto come modalità di affermazione sul nemico geopolitico. Allo Sputnik sovietico e al volo di Yuri Gagarin, gli Stati Uniti risposero con il programma Apollo e con lo sbarco sulla Luna nel 1969. Sembrava l’inizio di un rapporto continuo e permanente con il nostro satellite, ma l’umanità si stancò presto. E’ sorprendente pensare che il 14 dicembre 2022 saranno passati 50 anni esatti dall’ultima volta in cui la Luna ha visto due umani sul proprio suolo: erano gli astronauti americani Gene Cernan e Harrison Schmitt, della missione Apollo 17, che ripartirono lasciando tra l’altro parcheggiata sul suolo lunare la loro moon buggy, il rover a quattro ruote con il quale avevano viaggiato a 18 km orari in mezzo ai crateri (tre di quei lunar roving vehicles sono ancora oggi abbandonati da qualche parte sulla Luna).
Da quel dicembre del 1972, gli uomini non si sono più avventurati oltre le orbite vicine al nostro pianeta. E’ cominciata l’epoca dei voli andata e ritorno degli Space Shuttle e delle lunghe permanenze sulla Stazione spaziale internazionale, ma per decenni lo spazio lo abbiamo solo osservato attraverso telescopi sempre più potenti, da Hubble al nuovissimo James Webb Space Telescope che ha appena cominciato a mandare immagini straordinarie a Terra.
Il Webb riassume in un certo senso tutte le contraddizioni e le potenzialità della sfida spaziale. E’ costato molti più miliardi di quelli previsti, è in ritardo di anni rispetto alle previsioni, ma adesso che ha puntato il proprio potentissimo obiettivo verso spazi stellari lontani 13 miliardi di anni luce, ha già lasciato tutti senza fiato. Quando nei giorni scorsi la Nasa ha mostrato in anteprima al presidente Joe Biden le prime immagini catturate da Webb, alla Casa Bianca sono rimasti a bocca aperta e Biden ha “bruciato” l’agenzia spaziale, divulgando fuori programma con un giorno d’anticipo una delle foto del telescopio.
E’ la potenza emotiva del confronto con lo spazio, che diventa ancora maggiore quando si tratta di sonde che scendono sul suolo di pianeti, satelliti e comete e soprattutto quando avvengono missioni con astronauti. La vocazione umana all’esplorazione sembra aver cominciato una nuova stagione che potrebbe anche rivelarsi una “bolla”, una grande corsa a progettare avventure che non avverranno mai per cause tecniche, economiche o politiche. Al momento però non sembra il caso: tutto fa pensare che da qui al 2030 torneremo a rivivere momenti di entusiasmo collettivo come quelli della diretta televisiva del primo sbarco sulla Luna. E il merito è anche di personaggi dall’ego smisurato che si stanno rivelando nuovi Magellano e Cristoforo Colombo, come Elon Musk, Richard Branson o Jeff Bezos. Senza l’impegno dei miliardari amanti dello spazio, la Nasa difficilmente sarebbe uscita dalla crisi di identità e di finanziamenti di cui soffre dalla fine del programma Shuttle.
Tenere d’occhio Artemis per capire come va l’esplorazione spaziale: è il programma che promette di dare più soddisfazioni nel breve termine
Artemis è il programma da tenere d’occhio per capire come procede l’esplorazione spaziale, perché è quello che promette di dare le maggiori soddisfazioni nel breve termine. Già il nome tradisce la voglia di ripetere le avventure del programma Apollo: Artemis-Artemide, nella mitologia greca, non era solo la dea della caccia e delle arti, ma anche la personificazione della Luna crescente e sorella gemella di Apollo, come lui figlia di Zeus.
Uno dei pilastri del nuovo programma della Nasa è la creazione di una base spaziale orbitante intorno alla Luna, battezzata Gateway, che sarà il quartier generale di tutte le operazioni lunari. L’orbita periodica tridimensionale “halo” scelta per Gateway è totalmente inedita. Prevede una traiettoria influenzata dalla gravità di Terra e Luna che rendono l’orbita molto stabile, riducendo al minimo la quantità di energia necessaria per alimentare la stazione. Si tratta di un percorso spaziale che passa a 3.500 chilometri dal polo nord lunare e poi si spinge lontanissimo, a 70 mila chilometri dal polo sud. Un tragitto che richiederà una settimana per essere completato e che raggiunge luoghi spaziali dove non è mai stata inviata alcuna sonda umana.
Il compito di Capstone è proprio quello di andare in avanscoperta lungo la gigantesca orbita che in futuro sarà percorsa ogni settimana dagli astronauti a bordo di Gateway. Gli scienziati della Nasa hanno lavorato fino a ora sulla base di modelli realizzati al computer, ma hanno bisogno di capire se i loro calcoli sono giusti e che tipo di condizioni aspettano la stazione spaziale. Dentro il “microonde” lanciato dalla Nuova Zelanda ci sono una serie di strumenti di misurazione che hanno il compito di realizzare una sorta di Google Maps di quel pezzo di spazio lontano, per collezionare tutti i dati che serviranno alla navigazione futura. Il meccanismo non è molto diverso dalle triangolazioni operate sulla Terra dal network Gps, con la differenza che intorno alla Luna non ci sono satelliti che permettano di incrociare i dati. Capstone farà quindi le proprie triangolazioni inviando segnali al network di radio antenne Deep Space Network che la Nasa ha disseminato sulla Terra per captare eventuali segnali extraterrestri, oltre che alla sonda Lunar Reconnaissance Orbiter che sta già navigando intorno al nostro satellite.
La Space Economy è in piena fibrillazione e si moltiplicano i progetti. Ma una volta tornati sulla Luna, che ci facciamo?
Capstone è lo scout mandato a esplorare la nuova frontiera, ma presto sarà raggiunto da altre sonde e rover di ogni nazionalità, se riusciranno i vari programmi allo studio in mezzo mondo. Non è un’impresa semplice, come ha dimostrato il fallimento nel 2019 del tentativo fatto dagli israeliani di far scendere sul suolo lunare una sonda realizzata da una società non profit, SpaceIL: il piccolo robot Beresheet (Genesi) si è schiantato in un cratere. La sonda indiana Vikram lo stesso anno è andata incontro a un destino analogo. Gli Usa, l’ex Urss e la Cina sono gli unici tre paesi ad essere riusciti fino a ora a scendere sulla Luna, mentre Giappone, India, Israele e l’Agenzia spaziale europea si sono aggiunti a loro nel riuscire a orbitare intorno al satellite.
A settembre è atteso il lancio di Luna-25, una sonda che dovrebbe segnare il ritorno della Russia alle imprese spaziali lunari, interrotte dall’allora Unione sovietica nel 1976 dopo il successo del rover Luna-24. Resta da vedere se le sanzioni internazionali contro la guerra di Putin in Ucraina provocheranno ritardi al programma spaziale di Mosca. I russi potrebbero essere battuti sul tempo dai sudcoreani, che contano di lanciare ad agosto il loro Korea Pathfinder Lunar Orbiter (KPLO) utilizzando un razzo di SpaceX, per raggiungere a dicembre un’orbita lunare. Ma la missione di Seul non prevede la discesa sul suolo. Contano invece di arrivare in un cratere lunare gli scienziati di una società privata giapponese, Ispace, che dovrebbero lanciare a ottobre il loro “moon lander” Hakuto-R (sempre utilizzando i razzi di Musk), che trasporterà il primo rover arabo, Rashid, realizzato dal programma spaziale degli Emirati Arabi Uniti. Anche gli indiani ci riproveranno dopo il fallimento di Vikram: stavolta la sonda si chiama Chandrayaan-3 e potrebbe tentare un allunaggio prima della fine dell’anno.
Sempre servendosi dei razzi Falcon 9 di Elon Musk (che nei prossimi mesi riempirà quindi le casse della sua società spaziale), anche la Nasa ha un paio di robot lunari da spedire nello spazio entro il 2022, entrambi destinati a tentare di scendere sul satellite per avviare una serie di ricognizioni e studio del terreno.
Ma la vera impresa che farà tornare tutti i terrestri ad alzare gli occhi al cielo sarà il ritorno degli uomini e delle prime donne sul suolo calpestato dalle missioni Apollo. I primi astronauti dopo 50 anni di assenza potrebbero tornare a far visita al suolo lunare in anticipo rispetto all’entrata in servizio di Gateway. Il primo allunaggio previsto dalla Nasa è in teoria vicinissimo, visto che la data indicata dall’agenzia spaziale americana al momento è il 2025. Ma sembra un obiettivo troppo ambizioso, è probabile che dovremo aspettare un po’ di più.
A fine agosto è prevista la missione Artemis 1, con il lancio del nuovo veicolo spaziale Orion con il razzo vettore Space Launch System (SLS). Si tratta dei componenti essenziali dell’avventura lunare e la Nasa per ora li sperimenterà senza astronauti a bordo, per testare le modalità di lancio e di rientro e verificare la tenuta dello scudo termico. Se tutto andrà bene, la successiva missione Artemis 2 porterà nello spazio i primi astronauti del programma, che andranno in orbita intorno alla Luna ma senza scendere al suolo. Il calendario della Nasa prevede poi il lancio di Gateway nel 2024 e l’allunaggio l’anno dopo. L’Agenzia Spaziale Europea (Esa) sarà parte rilevante dell’avventura, con i suoi astronauti e con il programma di esplorazione spaziale europeo Terrae Novae che si intreccerà con Gateway e Artemis.
In vista del traguardo dell’allunaggio, la Space Economy è in piena fibrillazione e si moltiplicano i progetti destinati a rispondere a una domanda fondamentale: ma una volta tornati sulla Luna, che ci facciamo? Mille cose diverse, è la risposta dell’industria spaziale, che lavora a pieno ritmo per sviluppare progetti di abitazioni lunari, sistemi di creazione e custodia dell’energia, trivellazioni per la ricerca di materiali rari.
Si è mossa da tempo anche l’industria automobilistica, che vista la natura di questi progetti si è alleata con quella aerospaziale. General Motors e Lockheed, per esempio, sono già in fase avanzata di sperimentazione di un loro nuovo veicolo lunare, che rispetto a quelli di 50 anni fa potrà contare sull’enorme evoluzione avvenuta a Terra nel campo dei semiconduttori, dell’elettronica e del digitale. Il loro nuovo Lunar Mobility Vehicle (LMV) è alimentato da batterie con tecnologia Ultium, la stessa che utilizzano le auto elettriche di nuova generazione di GM come l’Hummer EV o la Cadillac Lyriq, e dovrebbe avere un’autonomia di 10 anni sulla Luna. In un centro di ricerca a Warren, in Michigan, sono state ricostruite le condizioni di guida sul suolo lunare e il LMV viaggia in continue simulazioni di percorsi in mezzo a rocce e crateri. Nissan, Northrop Grumman e una startup battezzata Astrolab (creata da alcuni scienziati che hanno lasciato SpaceX) sono tutti al lavoro su veicoli analoghi, nella speranza di vincere i ricchi contratti della Nasa.
La Luna non è stata ricostruita solo in Michigan, ma anche sull’Etna. Pochi giorni fa l’Esa ha mandato un piccolo rover in esplorazione sul vulcano, simulando una missione lunare nel corso della quale sono stati prelevati campioni di rocce. Per rendere il tutto più realistico, a manovrare il rover è stato un astronauta dell’Esa, Thomas Reiter, che ha finto di essere in orbita intorno alla Luna per gestire il rover a distanza: in realtà era in una camera d’albergo a Catania, a 23 chilometri dal piccolo robot spaziale.
Ma sulla Luna siamo già stati. L’altra grande sfida del futuro è Marte. L’uomo che può vincerla, piaccia o no, è Elon Musk con la sua SpaceX
I programmi lunari sono affascinanti, ma sulla Luna ci siamo già stati 50 anni fa. La vera sfida del futuro è Marte. E l’uomo che, piaccia o no, la può rendere realtà, è il controverso e provocatorio Musk. Tra le molteplici attività avviate nel corso degli anni dall’imprenditore di origini sudafricane, SpaceX potrebbe essere quella che lo consegnerà alla storia, molto più di Tesla. Mentre gli altri miliardari amanti dello spazio come Bezos o Branson per ora si sono concentrati soprattutto sul turismo spaziale, sul lancio di satelliti e sulla possibilità di ottenere alcuni contratti per le forniture alla Stazione spaziale internazionale, Musk ha fatto le stesse cose ma pensando più in grande e guardando più lontano.
La chiave del successo di SpaceX è stata la scelta di sperimentare – senza paura di fallire – la tecnologia necessaria per far rientrare a terra i giganteschi razzi vettori necessari per i lanci. Una soluzione indispensabile per rendere economicamente sostenibile la corsa allo spazio, in un’epoca in cui non ci sono più gli stanziamenti di miliardi pubblici come quelli che hanno sostenuto Apollo, lo Space Shuttle o il telescopio Webb. La Nasa non si sarebbe mai potuta permettere il danno reputazionale provocato dalla lunga serie di fallimenti che hanno portato Musk alla fine a trionfare. Lui invece ha postato con orgoglio su Twitter – il social che sognava di comprare – i video di ogni razzo che gli è esploso davanti agli occhi durante i tentativi di imparare le manovre di rientro a terra.
Adesso non solo i suoi Falcon sono affidabili e scelti da tutte le agenzie spaziali, ma l’esperienza accumulata in questi anni sta facendo accelerare il progetto di sviluppo del super-razzo che dovrebbe permettere la missione verso Marte. Nelle scorse settimane la Federal Aviation Administration (Faa), l’ente per il volo statunitense, ha dato a Musk un importante via libera per proseguire nello sviluppo degli enormi razzi battezzati Starship. Per la Faa, SpaceX ha superato tutti i test ambientali necessari ad autorizzare i lanci degli Starship. Una bocciatura dell’ente federale americano avrebbe voluto dire ritardi anche di anni nel programma marziano di Musk e della Nasa. Adesso ci sono ancora una serie di adempimenti burocratici da superare, ma l’ostacolo più grosso è alle spalle. Starship è un sistema che permette di portare in orbita fino a 100 tonnellate di carico e di effettuare rifornimenti direttamente nello spazio: l’ideale quindi per lanciarsi verso avventure di lunghissima durata.
Pensare a una data ipotetica per uno sbarco di astronauti su Marte è però prematuro. La tecnologia e anche le scienze mediche devono ancora superare una molteplicità di sfide. Una ricerca pubblicata a giugno su Scientific Reports, per esempio, ha dimostrato che in sei mesi nello spazio gli astronauti riportano danni alla massa ossea paragonabili a un invecchiamento di 20 anni. Si tratta di studi che riguardano per ora un piccolo campione di casi, ma creano notevoli preoccupazioni nel mondo scientifico riguardo alla prospettiva di un viaggio che richiederebbe 7-8 mesi per l’andata e altrettanti per il ritorno.
E’ tutta da decidere anche l’ipotetica composizione di un equipaggio che parta per colonizzare Marte. La Nasa e SpaceX avrebbero un ruolo centrale nel progetto e gli astronauti americani dovrebbero quindi avere la precedenza, insieme a quelli dell’Esa con cui la collaborazione è sempre più stretta. Difficile prevedere invece se nei prossimi anni ci saranno le condizioni per ripetere il delicato equilibrio che ancora resiste sulla Stazione spaziale internazionale, dove attualmente convivono russi e americani con l’aggiunta dell’italiana Samantha Cristoforetti in quota Esa. La Russia di Putin sembra avviata a percorrere strade solitarie nei prossimi anni, anche per effetto delle sanzioni da parte dell’occidente.
In attesa dell’arrivo dei primi umani, su Marte al momento imperversa il rover Perseverance, accompagnato dal proprio elicotterino Ingenuity. Una coppia che la Nasa utilizza come dei veri e propri influencer per tenere alta l’attenzione sul pianeta rosso. Perseverance ha i propri profili social dedicati e diffonde immagini e commenti in prima persona (finta) su Instagram, Facebook, Twitter e TikTok. Il rover non sta raccogliendo solo foto e video, ma anche campioni di rocce marziane. Ed è su questi materiali che si giocheranno le sfide spaziali dei prossimi anni, in attesa di un’eventuale prima missione umana.
Come ai tempi della Guerra fredda, sulle rocce di Marte si preannuncia una contesa che ha più a che fare con la geopolitica che non con la scienza. Usa e Cina stanno infatti cercando di arrivare primi nella sfida a chi riuscirà a portare a Terra per la prima volta pezzetti del suolo marziano. Per ora la Nasa è riuscita ad appropriarsi di rocce lunari, fin dai tempi delle missioni Apollo. Poter analizzare nei laboratori di ricerca campioni del terreno di Marte sarebbe un grande passo avanti per la scienza e anche un colpo reputazionale importante per le due superpotenze. Nasa ed Esa stanno per questo progettando una missione che utilizzi due lander che verranno lanciati verso Marte nel 2028 e una sonda orbitante prevista nel 2027, come occasioni per collezionare campioni di terreno e riportarli a Terra entro il 2033. La Cina ha risposto annunciando la missione Tianwen-3 che potrebbe riuscire nell’impresa nel 2031.
La nuova corsa allo spazio è cominciata. Resta da vedere se l’umanità la sosterrà o se si stuferà presto come è avvenuto per la Luna 50 anni fa. La differenza potrebbe farla la Terra stessa: il pianeta surriscaldato e sovrappopolato che sembra attenderci nei prossimi decenni potrebbe invogliare a cercare alternative nello spazio.