Cattivi scienziati
Parlando di scienza non si può usare il dubbio come pratica svincolata dalla verifica. Dialogo aperto con Giuliano Ferrara
La presenza non solo di singoli fanatici, ma di un movimento organizzato che usa l'ambientalismo in modo luddista e conservativo non può essere di ostacolo per affrontare il cambiamento climatico in modo razionale e scientifico
Il fondatore di questo giornale ha scritto ancora per sottolineare, e prendo le parole dal titolo del suo ultimo pezzo in tema, le “ragioni per non assecondare la religione del caldo afoso”. Io qui sono ospite, e ho avuto la fortuna di osservare come alla promessa di totale libertà nello scrivere di ogni tema a mio piacimento, siano seguiti i fatti; è questa la libertà che oggi mi prendo, dunque, nel tentare di iniziare un dialogo che spero costruttivo per aiutare tutti i lettori a districarsi nell’apparente paradosso fra una linea editoriale volta a difendere il consenso scientifico in ogni sede, specialmente quando questo sia importante per influenzare la percezione collettiva dei fenomeni fisici e la distinzione fra impressioni e fatti, da una parte, e la preoccupazione per il fanatismo ambientalista di chi non studia prima di schierarsi, dall’altra.
In nome di questa libertà, dunque, ma anche dal punto di vista del biologo, che vede documentati nella letteratura scientifica in modo sempre più incontrovertibile i profondi cambiamenti in atto per quel che riguarda il tasso di estinzione delle specie viventi, la loro distribuzione e la loro densità, da un lato, e dall’altro l’insieme delle alterazioni climatiche provocate dall’uomo che inevitabilmente contribuiranno sempre di più ai fenomeni suddetti, per queste ragioni, dicevo, vorrei provare a dare una parzialissima risposta, fortemente limitata dallo spazio a disposizione, a Giuliano Ferrara e alle considerazioni contenute nel suo pezzo citato in apertura.
Ferrara ha come bersaglio polemico quelli che vede come gli adepti di una pericolosa setta, ambientalisti scriteriati (e forse pure interessati) che intenderebbero fare leva su una narrativa distorta, per ricavarne soprattutto ciò che ogni religione si prefigge, ovvero il predominio culturale e i più terreni benefici che ne conseguono.
Che esistano non solo dei singoli fanatici, ma un movimento organizzato, il quale usa l’ambientalismo in chiave luddista, conservatrice e propriamente religiosa, sono il primo a riconoscerlo: dalla critica al nucleare, all’opposizione alle biotecnologie, fino ad arrivare persino all’opposizione ai vaccini o alla medicina “contro natura”, esiste un campo largo di propugnatori di balle ascientifiche, spesso politicamente aggressivo, che ha soppiantato le giuste istanze dell’ambientalismo per sostituirle con una malsana ideologia tinta di verde. Del resto, io stesso sono regolarmente bersaglio di insulsi attacchi provenienti da chi è ormai imbevuto da questo veleno cognitivo; figuriamoci quindi se non riconosco quei fanatici cui si riferisce Ferrara.
Tuttavia, è molto, molto importante ricordarsi sempre che, se esistono i fanatici, ciò non significa affatto necessariamente che non esista un problema di cambiamento climatico; anzi potremmo dire che esso è in via di aggravamento per la paralisi politica prodotta dai fanatici di ogni campo, non solo quello ambientalista, e che per questo vieppiù merita la nostra attenzione, includendo nella costruzione di una soluzione anche la considerazione delle narrazioni e dei portatori di interesse, per rimuovere le componenti più tossiche.
È quindi importante pure notare che il più grande ostacolo al progresso nell’affrontare razionalmente il cambiamento climatico in atto non è stato fin qui costituito dalle frange più estreme e scervellate dell’ambientalismo, ma dalla sistematica negazione e disinformazione che si è fatta e si continua a fare prima circa la stessa esistenza del cambiamento climatico, ed oggi principalmente circa la sua origine antropica.
Intendo dire che, sebbene la preoccupazione di Ferrara circa gli effetti tossici della narrazione sul clima che cambia trovi riscontro addirittura nelle ricerche e nelle pubblicazioni scientifiche degli psichiatri, la cura non è suggerire che il cambiamento climatico sia indimostrabile, non esista e quindi – quindi – sia meno che mai riconducibile all’uomo, per lo stesso identico motivo che le scriteriate bugie negazioniste o le rassicurazioni ottimiste prive di fondamento in tempo di pandemia non sono servite a far scomparire SARS-CoV-2. L’interesse a negare o minimizzare il cambiamento climatico, ed innanzitutto a separarlo dall’utilizzo dei combustibili fossili, esiste ed è ben documentato, nelle sue strategie, nella forza economica di cui dispone e nella sua pervasività; sostanzialmente, questo interesse alimenta la negazione dell’imponente mole di dati, analisi e interpretazioni che costituiscono la moderna scienza del clima, e non solo le slide di qualche accademico.
Si agisce in questo senso con il solito conforto dei pochi eroi negativi che anche in campo scientifico è sempre possibile trovare, proprio come per la scienza della pandemia si cerca di far passare che in realtà le cose siano ancora molto dibattute, molto incerte, forse impossibili da appurare; ma bisogna respingere questo modo di agire allo stesso modo in cui si respingono le tesi di Montagnier su SARS-CoV-2 o di qualunque altro prestigioso accademico che nega la base stessa del consenso scientifico.
Dunque no all’ambientalismo religioso e ai toni forzatamente apocalittici pittorescamente attaccati da Ferrara; ma ancor più basta con il negazionismo e il dubbio come pratica svincolata dalla verifica, per poter almeno tentare (tentare!), sulla base della miglior scienza e della più avanzata tecnologia di individuare soluzioni e strategie di mitigazione praticabili, prima di azioni politiche efficaci per la loro implementazione.
cattivi scienziati
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