Cattivi Scienziati
Gli scienziati parlano di scenari possibili, non di certezze
Contro l'idea che sia scientifico affermare che qualcosa succederà sicuramente. Il caso di due metereologi ungheresi e del regime di Viktor Orbán
Molti giornali hanno riportato la notizia del licenziamento immediato della massima dirigenza del servizio meteorologico ungherese (Nms).
In breve: nel 2006, il 20 agosto, giorno di Santo Stefano, morirono svariate persone, a causa di una tempesta che si scatenò mentre i festeggiamenti erano in corso. Quest’anno, il servizio meteorologico ha diramato un’allerta meteo per eventi estremi in corrispondenza della stessa data; per cautela, l’evento, cui partecipano centinaia di migliaia di persone e che vede un estesissimo spettacolo pirotecnico, è stato rinviato di una settimana. La prevista tempesta, tuttavia, si è verificata lontano dalla capitale, nell’est dell’Ungheria; questo ha scatenato prima le proteste del pubblico e quindi, immediatamente dopo, il licenziamento dei due massimi scienziati del Nms da parte del regime del “Piccolo Putin”, Viktor Orbán.
Questi i fatti, di cui non discuterò oltre; interessa qui invece riportare e analizzare un po’ più a fondo la dichiarazione dell’Nms, che sulla propria pagina Facebook ha affermato come “si è verificato il meno probabile degli scenari, sulla scorta dei dati disponibili”.
Questa frase, perfettamente intellegibile per chiunque sia uno scienziato, risulta spesso presso il pubblico generico poco più che una flebile scusa per la propria incapacità; ed il motivo, io credo, sta nella difficoltà di capire quale sia la natura delle previsioni scientifiche, ovvero come incertezza e probabilità delimitino la maggior parte delle affermazioni che è possibile formulare circa l’evoluzione futura dei sistemi naturali.
Questa difficoltà, in parte, è causata dagli stessi ricercatori, che omettono fin troppo spesso di sottolineare i limiti delle proprie affermazioni, sfoderando autorevoli certezze, invece che discutere i limiti di ipotesi probabilistiche.
Consideriamo la seguente affermazione: “Non ci sarà nessuna seconda ondata”, riportata il 6 agosto 2020 a proposito di SARS-CoV-2.
Questa dichiarazione, attribuita ad un eminente studioso, è sbagliata non solo a posteriori, visto che essa è stata ampiamente contraddetta dai fatti; era sbagliata nel momento stesso in cui fu formulata. Ammettendo che sia stata rilasciata nei termini riportati, è infatti indistinguibile dall’affermazione di un indovino il quale, dopo aver scrutato il fegato di un animale o il volo degli uccelli, si rivolga ai propri fedeli.
Si noti bene: se anche l’affermazione fosse risultata a posteriori vera, essa sarebbe stata comunque identica a quella di uno sciamano che ha indovinato, e non a quella di uno scienziato.
Qual è la differenza? Uno scienziato, nel formulare una previsione, tiene conto di un insieme di scenari possibili e tenta di assegnare a ciascuno di essi una probabilità, ovvero, nell’interpretazione frequentista, di valutare quante volte ciascun dato scenario si verificherebbe, se le condizioni di partenza si ripresentassero un numero molto elevato di volte.
Assegnare una probabilità ad uno scenario, cioè, non vuol dire affatto affermare che cosa si verificherà, ma semplicemente che, ripetendosi moltissime volte le identiche circostanze, si osserverebbe, in un ordine qualunque, la realizzazione di specifici scenari per un numero di volte stimato dalla percentuale di probabilità assegnata.
Dunque si può dire al massimo che una nuova ondata epidemica è più o meno probabile, e nel dirlo si deve specificare al pubblico che, l’autunno successivo, potrebbe comunque verificarsi ciò che è meno probabile, per cui, se si tratta di eventi particolarmente nefasti, è bene prepararsi.
Tornando alla meteorologia, ma il discorso potrebbe essere ripetuto per la maggior parte delle previsioni che ci interessano, uno scienziato parla, e nel migliore dei casi ci sta dicendo quante volte (non quando!) un certo evento si presenterebbe se le condizioni meteo di partenza si ripetessero all’infinito; sta cioè illustrando una distribuzione di probabilità nel futuro, distribuzione che per sua natura comprende anche code a probabilità bassa, le quali possono benissimo realizzarsi, senza invalidare affatto la previsione originaria del ricercatore – cioè che, su una serie lunghissima di ripetizioni, alcuni eventi si osserverebbero più frequentemente di altri.
Sta a noi, di volta in volta, scegliere se vogliamo limitarci ad assumere come guida lo scenario più probabile oppure se, considerando i costi della mancata preparazione, non si debbano prendere in considerazione in via precauzionale almeno alcuni degli scenari meno probabili; e questo precisamente è il senso di un’allerta meteo come quello diramato dall’NMS ungherese, preso a pretesto per eliminare due scienziati che evidentemente non piacevano al regime oppure utili per dare in pasto al pubblico un capro espiatorio.
Ricordiamolo, quindi: il futuro non è qualcosa di determinato, che aspetta solo di essere scoperto dai migliori scienziati. È invece solo la realizzazione di uno fra infiniti scenari, in equilibrio fra la probabilità ed il caso.
Per questo, ogni previsione scientifica che si rispetti non consiste altro che nel misurare la distribuzione della nostra incertezza fra molti possibili scenari, così che si possa poi scegliere meglio quelli di cui si vuol tenere conto.
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