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cattivi scienziati

Una piccola medusa potrebbe svelare la chiave del ringiovanimento

Enrico Bucci

Alcuni ricercatori hanno paragonato il genoma di una medusa immortale con quello di una mortale, scoprendo copie extra di geni, legati soprattutto al mantenimento del genoma e alla sua replicazione. Ma il processo è attivabile nel nostro organismo?

Qualche mese fa, proprio su queste pagine, abbiamo discusso con qualche dettaglio degli sforzi che si stanno compiendo per prolungare notevolmente la durata della vita umana, sforzi non solo legati al mondo della ricerca, ma anche a quello finanziario. Oggi vale la pena di tornare brevemente sull’argomento, perché è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista PNAS uno studio notevole, che riguarda un piccolo animale. Io sono nato nella città di Napoli, città che ha visto la nascita della moderna zoologia marina e la fondazione di uno di quelli che era fra i più moderni centri di ricerca in biologia marina dell’epoca, ovvero la Stazione Zoologica (munita di un ampio acquario) fondata dal Anton Dohrn, uno dei massimi sostenitori tedeschi del darwinismo vissuti nel XIX secolo. A questa eminente figura di zoologo è dedicato il nome di una piccola medusa trasparente che vive nei nostri mari, la Turritopsis dohrnii, che vaga in banchi nel Mediterraneo e ha una particolarità ben nota agli specialisti. In sostanza, mentre l'invecchiamento colpisce tutti gli altri animali viventi, Turritopsis dohrnii è in grado di ringiovanire ripetutamente dopo la riproduzione sessuale, risultando così a tutti gli effetti biologicamente immortale. 


Ora, bisogna ricordare che la selezione naturale diminuisce con l'età e agisce soprattutto sui geni che sono importanti nei prima della riproduzione, indipendentemente dai loro effetti postriproduttivi. Pertanto, le varianti che sono dannose solo in tarda età, ovvero dopo la riproduzione, non vengono prontamente eliminate dal pool genetico, se questo non ha effetto sul numero di individui generati ad ogni ciclo riproduttivo. L’invecchiamento, dunque, può esistere sia come effetto tardivo dei benefici preriproduttivi offerti da certe varianti geniche, sia per “invisibilità” alla selezione naturale, una volta che almeno un ciclo di riproduzione si sia compiuto.


Tuttavia, se, attraverso il ringiovanimento, un individuo è capace di aumentare il numero di cicli riproduttivi cui può andare incontro, quell’individuo sarà favorito nella popolazione, perché generà più discendenti, ciascuno dotato del tratto necessario al ringiovanimento; al limite, il processo di ringiovanimento può essere ripetuto un numero infinito di volte dopo la riproduzione, dando origine a specie come la nostra Turritella dohrnii. Non essendo un tratto diffuso fra gli animali, il ringiovanimento per un numero illimitato di cicli (e la vita eterna che ne consegue) devono tuttavia fondarsi su processi molecolari che non emergono facilmente, e che quindi dovrebbero essere particolarmente peculiari e, forse, non trasportabili ad organismi diversi.


Per capire come questo processo funzioni, i ricercatori hanno compiuto un primo, importante passo: hanno paragonato il genoma della medusa immortale con quello di una specie molto simile, ma incapace di ringiovanire, e dunque mortale come tutti noi. Questo ha consentito di identificare nella medusa immortale copie extra di geni, legati soprattutto al mantenimento del genoma, alla sua replicazione, al contenimento dello stresso ossidativo e al mantenimento dell’integrità dei telomeri (le parti terminali dei cromosomi, che, come avevamo discusso nell’articolo citato in apertura, sono molto importanti per il mantenimento della vita cellulare).


Non solo: per capire qualcosa di più del processo di ringiovanimento, i ricercatori hanno pure studiato quali geni e come fossero utilizzati durante i vari stadi. Si tenga presente che ringiovanire, per una medusa, significa tornare allo stato di piccolo polipo, simile a quello dei coralli; quindi è abbastanza immediato comprendere lo stadio del processo a cui ci si trova, e determinare quali geni l’organismo sta in quel momento usando. Così, è emerso che con la trasformazione della vecchia medusa in un giovane polipo, cambiava l’uso dei geni deputati all’ del dna. Negli adulti, questi geni erano attivi o espressi ad alto livello, cioè venivano usati frequentemente per produrre proteine. Ma quando gli animali hanno iniziato la loro reversione a polipi, i geni si sono spenti, perché il DNA doveva essere non conservato, ma ampiamente riutilizzato per funzioni che non servono all’adulto.


I geni legati alla pluripotenza, o alla capacità di una cellula di dare origine a strutture morfologiche molto varie e diverse, insomma quei geni che si attivano durante lo sviluppo embrionale negli animali più complessi, hanno fatto il contrario. Erano silenziosi nella forma adulta, ma sono entrati in azione quando una medusa ha iniziato a ricostruire un corpo nuovo (quello di un polipo). A processo compiuto, questi geni si sono nuovamente spenti. Molti importanti dettagli devono ancora essere definiti con chiarezza, ma il quadro generale è abbastanza chiaro: per questa medusa immortale, il corpo rappresenta davvero un semplice contenitore di geni, come suggerito da Dawkins nella sua celebre metafora del gene egoista. Il genoma, cioè, oscilla tra stati diversi, ciascuno corrispondente all’attivazione di suoi diversi programmi genetici; e così, può riprodursi un numero indefinito di volte, rigenerando un corpo sempre adatto e nuovo di zecca adatto all’uopo. Non esiste un singolo gene dell’eterna giovinezza, quanto piuttosto un complesso insieme di programmi genetici attivati in sequenza temporale ed in modo ciclico; se e come processi simili siano all’opera o siano attivabili anche nel nostro organismo, è da determinarsi grazie a nuovi, affascinanti studi futuri.

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