(Ansa)

Cattivi Scienziati

Il ruolo che i professori accademici non possono dimenticare

Enrico Bucci

Il compito è quello di preparare al meglio i propri allievi per i concorsi, non preparare al meglio i concorsi per i propri allievi

Ho più volte ricordato come il meccanismo delle nomine ai vertici delle istituzioni scientifiche del nostro paese, così come quello legato ai ruoli apicali in sanità, sia nelle mani di politici di ogni livello, nazionale o locale. Vi è tuttavia da ragionare anche in senso più ampio su come funzionino i meccanismi di reclutamento di quella che dovrebbe essere una fetta importante della nostra élite culturale in tutti i settori, ovvero del personale accademico da impegnarsi in ricerca e insegnamento, i principali compiti devoluti alle università pubbliche nel nostro paese.

 

Ora credo che il modo migliore di introdurre il mio pensiero in merito sia quello di ricorrere alle parole risuonate in una prestigiosa sede che dista pochi passi dalla casa avita, ovvero nell’Aula Magna Storica dell’Università Federico II, il giorno 20 settembre 2022, durante la presentazione di un libro dedicato al matematico Renato Caccioppoli.

 

In quella occasione, si è potuta udire dal professor Andrea Mazzucchi, ordinario di filologia italiana e filologia dantesca presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Napoli Federico II, l’affermazione secondo la quale Caccioppoli fosse da lodare non solo per le sue indubbie doti scientifiche o per altri aspetti eccezionali, ma anche in quanto rappresentò "il professore universitario che è in grado di interpretare appieno il suo ruolo e che siede nelle commissioni di concorso per i suoi allievi.

 

Non è dato sapere quanti fra i componenti della nostra accademia si riconoscano nel modello additato dal professore di filologia, ma a me par proprio che qui siamo di fronte al palese rovesciamento dell’etica del reclutamento universitario. A me hanno insegnato che un professore universitario abbia per compito quello di preparare al meglio i suoi allievi per i concorsi, non quello di preparare al meglio i concorsi per i suoi allievi.

 

Ingenuamente credevo, cioè, che il principale compito di un professore universitario fosse innanzitutto formare al meglio le nuove generazioni di studiosi, promuovendo la nascita di nuclei e scuole originali e culturalmente valenti, sedendo poi nelle commissioni universitarie non per gli allievi propri, ma per giudicare quelli degli altri con la massima imparzialità possibile; questo, naturalmente, almeno a livello di ideale. Invece, non solo possiamo osservare l’ideale violato regolarmente, ma addirittura rovesciato, promuovendo l’idea che sia dovere di un professore sedere in commissione per i propri allievi

 

C’è del marcio in Danimarca, per dirla con il bardo; ma finora non mi era mai accaduto di sentire elevato a ideale istituzionale proprio il contrario di ciò che l’integrità accademica vorrebbe. Del resto, se questa fosse la situazione prevalente nella nostra accademia, diciamo che almeno un aspetto positivo vi sarebbe: finalmente non vi sarebbe più difformità tra le parole spese e le azioni perpetrate, e certo verrebbe meno ogni possibile accusa di ipocrisia.
Ora, certamente avrò interpretato male le parole che ho citato e di sicuro avrò male estrapolato una frase, deviando nel rappresentare a me stesso e ai miei lettori le reali intenzioni di chi l’ha pronunciata; per questo invito ognuno dei lettori a verificare con le proprie orecchie ascoltando la registrazione dell’intervento di cui ho riferito, e chiunque ne abbia voglia ad aiutarmi a comprendere il vero senso che certamente a me è rimasto celato.

 

Intanto, per risollevare il lettore dal quadro sconsolante che gli ho illustrato, mi occorre ricordare qui le parole di un ingegnere, il professor Marcello Lando, che a conclusione dello stesso evento su cui ci siamo dilungati sin qui, ha ricordato per esperienza diretta Renato Caccioppoli in modo del tutto diverso: cioè come quel professore che, insensibile alla provenienza e al cognome degli studenti che esaminava, mandava a casa chiunque non avesse una preparazione da lui giudicata adeguata, bloccando il familismo di consanguinei o semplici mentori sul nascere. Risulta piuttosto difficile credere che la stessa persona potesse poi ritenere di sedere nelle commissioni per i propri allievi, o che possa minimamente essere additata come esempio di un simile ideale rovesciato. Forse, dopotutto, in Danimarca non c’è solamente del marcio.